Nati il 24 ottobre: il pittore, scrittore, politico e patriota torinese Massimo d’Azeglio
Politico, patriota, pittore e scrittore. Non si può dire che Massimo d’Azeglio non sia stato un uomo eclettico e dalle mille sfumature. Nato a Torino il 24 ottobre 1798, da una nobile famiglia, è figlio del marchese Cesare Tapparelli d’Azeglio e di Cristina Morozzo di Bianzè. In seguito alla conquista da parte governo napoleonico della città subalpina, la sua famiglia si trasferisce a Firenze dove Massimo riceve un’educazione severa: in casa i genitori gli impongono un forte senso del dovere. Studia presso le Scuole Pie di Via Larga e la domenica mattina frequenta la casa della contessa d’Albany, Marie-Caroline de Stolberg: qui fa la conoscenza di molti artisti e letterati dell’epoca, fra cui il pittore francese François Xavier Fabre e di Vittorio Alfieri, amante della contessa e caro amico del padre.
Alla fine del 1810, i Taparelli tornano a Torino, dove Massimo frequenta filosofia all’Università: non ha grande amore per lo studio e segue i corsi per dovere ma senza brillare, in un’indole vivace e gaudente che caratterizza la sua giovinezza, riavvicinandolo all’austerità dell’educazione ricevuta solo in epoca più tarda. Successivamente Massimo accompagna il padre a Roma dove entra in contatto con molti scultori e pittori del tempo, tra i quali Canova, Thorvaldsen, Rauch, Camuccini, Landi. Oltre ad approfondire quello che sarebbe rimasto il principale interesse culturale della propria vita, quello della pittura, si appassiona anche alla musica e alla poesia, conoscendo di persona il commediografo Gherardo de Rossi e il librettista Jacopo Ferretti, nonché il musicista Niccolò Paganini e il compositore Gioachino Rossini.
Dopo il soggiorno romano, nel 1815 Massimo torna a Torino e diviene sottotenente presso la Cavalleria di stanza a Venaria Reale. Insofferente però alla rigida vita militare, decide di dedicarsi alla pittura: grazie all’amico Giuseppe Pietro Bagetti, insegnante dell’Accademia di Belle Arti, entra a lavorare nello studio del pittore Daniele Revelli. Nel 1818 decide di affinare la propria tecnica artistica e tornare a Roma per studiare la pratica pittorica dal vero degli artisti stranieri presenti nella città eterna. Si stabilisce nella Campagna romana, nella casa a Castel Gandolfo presso il lago Albano, dove frequenta il prestigioso ambiente raccoltosi intorno alla villa Cybo; conoscee la pittura en plein air del fiammingo Verstappen, del quale diviene allievo presso lo studio in Roma.
Dal 1825 che Massimo d’Azeglio inizia a dedicarsi a temi sentimentali e patriottici. Nel 1831 muore il padre: si trasferisce a Milano dove conosce Alessandro Manzoni. D’Azeglio sposa la figlia Giulia Manzoni alla quale presenta il suo primo romanzo “La sagra di San Michele”, e sul cui soggetto aveva già dipinto un quadro di intonazione prettamente romantica. Negli anni successivi si dedica alla scrittura: nel 1833 scrive “Ettore Fieramosca o Lo disfida di Barletta”, nel 1841 “Niccolò de’ Lapi ovvero i Palleschi e i Piagnoni” e l’incompiuto “La lega lombarda”. Continua comunque a dipingere soggetti patriottici e sentimentali che insieme ai paesaggi, caratterizzeranno tutta la sua produzione. Proprio nella seconda metà degli anni Quaranta che Massimo d’Azeglio intraprende la carriera politica, schierandosi insieme ai liberali di ispirazione cattolica e affiancando sempre l’attività artistica. Sostiene la politica di Carlo Alberto, che, stimando e avendo fiducia in d’Azeglio gli affida un messaggio segreto da riportare ai patrioti, divenuta successivamente una delle frasi più celebri del Risorgimento, e dando all’artista e politico un’investitura a protagonista e capofila del movimento liberale.
Quando nel giungo 1846 viene eletto al soglio pontificio il cardinale Mastai Ferretti, con il nome di Pio IX, d’Azeglio si precipita a Roma, ottiene un’udienza dal pontefice e inizia una campagna politica a sostegno di un duplice disegno: indurre il Papa a farsi capofila dei principi italiani per liberare il territorio italiano dalla presenza straniera, e convincere i progressisti e i conservatori, a unire le proprie forze in questa direzione.
Il 10 giugno 1848 combatte nell’esercito pontifico. Ma il sogno sembra infrangersi quando, Pio IX rinnega il suo appoggio alla causa italiana. D’Azeglio, tuttavia non abbandona la politica, infatti dopo essere stato eletto alla Camera dei deputati subalpina, il nuovo re Vittorio Emanuele II il 6 maggio 1849 lo nomina presidente del Consiglio dei ministri. Da primo ministro, si muove abilmente nella questione spinosa delle trattative di pace con l’Austria: d’Azeglio infatti, è anche ministro degli Esteri e con grande abilità diplomatica ottiene l’appoggio morale della Francia e dell’Inghilterra, arrivando all’approvazione del trattato di pace.
Il suo spirito patriottico lo porta ad essere contrario a un’unificazione a sola guida piemontese. Egli auspica la creazione di una confederazione di stati sul modello dell’unità tedesca. Viene pertanto duramente attaccato dai mazziniani (che ritengono l’assetto federalistico estremamente dannoso, sia perché espone l’Italia al fuoco della politica straniera, sia a causa del particolarismo che sarebbe perdurato) ed è definito da Cavour suo “empio rivale”. E sarà proprio quest’ultimo a costringerlo alle dimissioni nel 1852. Ceduta la presidenza si allontana dalla vita politica attiva; torna alla pittura e nel 1855 assume la carica di direttore della Regia Pinacoteca. Negli ultimi anni di vita si dedica anche a mettere nero su bianco la sua autobiografia: “I miei ricordi”. Muore il 15 gennaio 1866 all’interno dell’Accademia Albertina di Torino, nella quale possiede una stanza. Torino gli dedicherà un’ampia retrospettiva tenutasi al Palazzo Carignano come tributo al suo impegno artistico e patriottico.
Piero Abrate