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A Torino nel 1808 nasceva la numerazione civica così come la conosciamo oggi

TORINO. Oggi ci sembra tutto più facile: mandate in pensione “piantine” e stradari, con navigatori e la complicità di Google maps, individuare una strada o una casa e ottenere addirittura il punto esatto in cui si trova un edificio, è un gioco da ragazzi. Tanta comodità però spesso non ci consente di pensare a quanto lavoro ci sia dietro, per esempio, alla semplice numerazione civica. È che non basta dare un numero progressivo alla case; si è trattato di un lavoro decisamente complicato.

Ci fu un tempo in cui trovare un recapito era tutt’altro che facile, poiché le strade non erano contraddistinte né da un nome né da un numero e, eccetto i palazzi nobiliari, tutto era affidato alla memoria e alla capacità dei singoli si orientarsi. Fu con la dominazione francese che la numerazione cittadina conobbe uno sviluppo moderno.

A partire dal maggio 1808, il complicato sistema precedente, che richiedeva per l’identificazione di una casa svariate in­dicazioni (quartiere, isola, via e numero progressivo), fu sostituito per iniziativa di Napoleone Bonaparte, che fece applicare anche in Piemonte il sistema di numerazione civica che era utilizzato in Francia. E così ogni via, strada e piazza ebbe il suo numero progressivo. L’inizio fu fissato in Casa Benedetto che si trovava nell’isolato estremo di via San Domenico, a Porta Susina; il termine venne posto alla chiesa di San Michele, vicino al fiume Po. La numerazione francese aveva la peculiarità di seguire il decorso delle acque e aveva i numeri pari alla sinistra del ruscello che scorreva al centro di ogni strada. L’ultima casa della Contrada di Po era quella dello storico albergo “Porto di Savona”, contrassegnata con il numero civico 1528.

Il sistema moderno di numerazione venne introdotto il 25 novembre 1860, avendo come focus  piazza Castello, considerata il punto centrale della città. Per contraddire la regola francese i numeri pari furono posti a destra e quelli dispari a sinistra. Sei anni dopo questo criterio venne applicato anche nelle altre città italiane. Anche il catasto dovette adeguarsi. Ricordiamo che ab origine, con catasto si indicava il volume che conservava un elenco alfabetico nel quale erano indicati i nomi dei proprietari di immobili, con la descrizione dettagliata dei loro beni posseduti. Nel marzo 1739 fu introdotto il termine “parcella” – oggi “particella” – utilizzato per indicare una porzione di terreno che ha un solo tipo di coltivazione e di proprietario. In questo modo si andò definendo una mappa vera e propria delle varie proprietà. Il catasto torinese venne istituito nel 1853 come effetto della politica attuata da Camillo Benso conte di Cavour.

Massimo Centini

Classe 1955, laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri. Tra le attività più recenti: al Museo di Scienze Naturali di Bergamo; ha insegnato Antropologia Culturale all’Istituto di design di Bolzano. Docente di Antropologia culturale presso la Fondazione Università Popolare di Torino e al MUA (Movimento Universitario Altoatesino) di Bolzano. Numerosi i suoi libri pubblicati in italiano e in varie lingue.

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