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L’itinerario medioevale di Rivalta che fece innamorare Balzac

Alla scoperta del piccolo centro porte del capoluogo, dove lo scrittore Honoré de Balzac si sentì “Piémontais pour un moment”

Tra i primi rilievi che increspano la pianura a ovest di Torino, verso l’anfiteatro morenico di Rivoli, si trova il centro di Rivalta. Già dal toponimo, derivante dal latino Ripalta, cioè riva alta, s’intuisce la conformazione del luogo: su una motta che sfiora i 300 metri, in posizione di leggero dominio sul pianoro circostante e sul corso del torrente Sangone, sorge il castello Orsini, una delle più significative testimonianze dei trascorsi medioevali di Rivalta, insieme con il ricetto e le memorie della scomparsa abbazia cistercense.

Il fascino del castello, la cui presenza è attestata per la prima volta in un documento del 1029, risiede nella commistione di elementi architettonici risalenti al Medioevo, soprattutto al periodo compreso tra XII e XIV secolo, quando il complesso assunse l’aspetto attuale, e interventi in prevalenza ottocenteschi, ispirati al revival neo-medievale di Alfredo D’Andrade e Riccardo Brayda, che s’innestano però in modo armonioso sulle costruzioni antiche, senza stravolgerne l’impianto. Tra le parti originarie del complesso spicca il possente Torrione sud, la struttura più antica (XII secolo), che presenta i caratteri tipici del mastio o dongione: autonomo e in posizione dominante rispetto agli altri edifici dell’insediamento castellare, contiene nella parte inferiore una cappella con volte gotiche nervate, realizzata in fase successiva (XIII secolo), che mostra tracce di affreschi. L’imponente cinta muraria, difesa da un fossato e rialzata nel settore ovest in corrispondenza dell’ingresso principale, era in origine provvista di un camminamento di ronda per i soldati e conserva tuttora la primitiva tessitura formata da ciottoli del Sangone disposti a spina di pesce.

Il castello di Rivalta, in origine un semplice castrum composto da uno o più torrioni con funzione sia difensiva che abitativa protetto da un fossato con palizzata lignea, appartenne ininterrottamente dalla sua fondazione sino al 1823 alla stessa famiglia, in origine menzionata nei documenti come Signori di Ripalta, e solo in una seconda fase, a partire dal XVI secolo, nota come conti Orsini. Il motivo di questo cambiamento onomastico non è stato chiarito: c’è chi delinea legami con la corte pontificia, in particolare Papa Benedetto XIII, che era un Orsini e che ebbe rapporti con i Signori di Rivalta (donando loro le reliquie di San Generoso), e chi invece lo spiega con l’abitudine di molte famiglie dell’epoca, desiderose di accrescere il proprio prestigio, d’inventarsi antenati illustri o di legare il proprio nome a quello di famiglie principesche vicine alla curia papale, come appunto gli Orsini di Roma.  

Tra gli ambienti più suggestivi del castello, nella sua parte residenziale frutto di aggiunte e successivi rimaneggiamenti, vi è senza dubbio il cortiletto interno che ben riflette l’immagine idealizzata e romantica di Medioevo, con il pozzo quattrocentesco, provvisto di una vera decorata da una scritta in caratteri gotici, la pavimentazione con pendenza verso il centro, accorgimento utile a far convogliare le acque reflue verso il pozzo, e i due dipinti a secco realizzati sulle pareti, entrambi di fattura ottocentesca, ma ricalcati fedelmente su modelli presenti nel castello valdostano di Fénis, raffiguranti l’uno San Giorgio nell’atto di trafiggere il drago e l’altro San Michele. Qui si ammira anche un’epigrafe che evoca una stagione felice per il castello quando, passato di mano nel 1823 dall’ultimo Orsini a Cesare della Chiesa conte di Benevello, agronomo, pioniere dei pozzi artesiani in Piemonte, ideatore e primo presidente della torinese Società promotrice delle Belle Arti, letterato e pittore, divenne sede di incontri letterari e artistici ospitando personaggi illustri. La lapide ricorda il passaggio del celebre romanziere francese Honoré de Balzac (1799-1850) che, accolto nel maniero di Rivalta, scrisse il 10 agosto 1836 in omaggio alla consorte del castellano, Polissena Pasero di Corneliano, il Cheval de Saint Martin, breve racconto in francese antico poi inserito nella raccolta “Les contes drolatiques”.

Balzac, che era giunto a Torino in compagnia dell’amante Caroline Marbouty (scrittrice francese nota con lo pseudonimo di Claire Brunne), fatta travestire da giovane servitore, di nome Marcel, nel tentativo di evitare scandali, apprezzò a tal punto il soggiorno nel castello di Rivalta che, “sollecitato dal luogo e dalla memoria”, dichiarò di sentirsi Piémontais pour un moment, come ci rammenta la lapide.

Il nucleo medioevale di Rivalta, che vanta oltre mille anni di vita documentata (la prima citazione scritta “in loco et fundo Rivalta” risale al 1016), sorse in posizione strategica, su una diramazione della Via Francigena che consentiva, provenendo dalla Valle di Susa, di aggirare Torino e proseguire verso il Monferrato tramite il ponte di Testona. I signori locali, in origine custodes castri, acquisirono il controllo sul territorio costruendo il proprio potere tra XI e XII secolo, all’indomani della morte della comitissa Adelaide (1091) che portò alla disgregazione della Marca arduinica torinese. Si destreggiarono, con stratagemmi politici e alleanze matrimoniali, tra forze antagoniste, come il Vescovo di Torino, che vantava diritti sul luogo, e i conti di Moriana-Savoia, che alla fine prevalsero. Le memorie medioevali di Rivalta rivivono non solo nel castello, ma anche nel ricetto, di cui sopravvivono l’impianto viario, segmenti di cinta difensiva e una delle tre torri d’accesso, l’odierna Torre Civica, posta a guardia dell’ingresso occidentale, e in due edifici religiosi, il primo ancora esistente, la chiesa campestre dei Santi Vittore e Corona, che conserva un importante ciclo di affreschi di scuola jaqueriana, e il secondo purtroppo scomparso, l’abbazia cistercense dei Santi Pietro e Andrea.

L’insediamento monastico, già documentato alla fine dell’XI secolo come dipendenza di San Lorenzo d’Oulx, poi affidato ai Cistercensi dal 1254, raggiunse il massimo splendore tra XII e XIV secolo, per poi scivolare nel declino ed essere travolto dalla furia del giacobinismo francese, che portò alla soppressione dell’ente nel 1792 e alla demolizione della chiesa abbaziale nel 1813. Dell’originario complesso monastico rimangono, all’interno della cappella ottocentesca, i resti della prima chiesa canonicale, risalente all’XI secolo, a sua volta innestata su un precedente luogo di culto, mentre della chiesa successiva, costruita nel XII secolo, è leggibile solo lo sviluppo planimetrico nell’area archeologica esterna. A questa seconda fase costruttiva appartengono i reperti rinvenuti durante le campagne di scavo, in particolare quattro capitelli istoriati attribuiti alla bottega del maestro Nicolao, attivo alla Sacra di San Michele, e acquisiti negli anni Trenta del Novecento alle collezioni del Museo Civico di Arte Antica, oggi esposte in Palazzo Madama a Torino.  

Oltre al Medioevo anche l’architettura dei secoli successivi ha lasciato a Rivalta le sue testimonianze: fra queste la chiesa di Santa Croce, dove si conservano le reliquie di San Generoso, donate dall’ultimo Orsini alla Confraternita, e la parrocchiale, eretta alla fine del Quattrocento, ma ampiamente rimaneggiata prima nel corso del Settecento con interventi degli architetti Vittone e Alfieri, poi verso il 1890 dal Reycend, che ne ridisegnò la facciata (l’ardito campanile venne aggiunto attorno al 1930).   

Per chi ama la tradizione gastronomica, che fa parte integrante del patrimonio culturale d’un paese, si segnala infine a Rivalta l’annuale Sagra del Tomino, produzione casearia locale acquistabile presso i punti vendita del caseificio Quaranta nel centro del borgo.   

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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