Il castello di Balzola e la maledizione del mago lebbroso
A 9 km da Casale Monferrato, alla sinistra del fiume Po, sul confine tra le province di Alessandria e Vercelli, sorge Balzola, 1300 abitanti e il cui territorio è intersecato da una fitta rete di rogge: qui l’acqua è elemento fondamentale più che altrove in quanto la coltura prevalente è quella del riso. Dalle risaie deriva anche la principale risorsa economica del paese e alla lavorazione di questo prodotto sono indirizzate alcune attività industriali sorte in zona.
Le origini del paese sono assai antiche: dominio dei marchesi del Monferrato, fu concessa di volta in volta a diversi feudatari tra cui i conti di Biandrate e fu devastata e incendiata nel 1615 dall’esercito di Carlo Emanuele I di Savoia, per impedire agli spagnoli di insediare le proprie truppe in quello che era considerato un centro strategico nel corso della guerra scatenata per la successione al ducato di Mantova e Monferrato. Il territorio è intersecato da una fitta rete di rogge: qui l’acqua è elemento fondamentale più che altrove in quanto la coltura prevalente è quella del riso. Dalle risaie deriva anche la principale risorsa economica del paese e alla lavorazione di questo prodotto sono indirizzate alcune attività industriali sorte in zona.
Dell’antico castello (da non confondere con quello fatto erigere un centinaio di anni fa dal commendator Giovanni Grignolio in stile neo-gotico, che viene adibito a ospitare eventi, cerimonie e matrimoni) non rimangono che grandiosi ruderi accanto a un’area verde costeggiata da un canale. L’edificio, di origine medievale, fu ampiamente rimaneggiato nel corso del tempo. Nell’insieme, il quadro che ci offre è di notevole bellezza per il singolare contrasto tra il rosso dei mattoni e l’ambiente naturale circostante.
Un primo castello risalirebbe al Mille, riedificato più di tre secoli dopo dai nobili Tizzoni, dopo aver ricevuto il lignaggio da Giovanni II Paleologo, marchese di Monferrato nel 1345. Ma anche questo edificio non durò a lungo. Nel corso dei combattimenti tra Savoia e spagnoli finì distrutto da un incendio. Successivamente i marchesi Fassati di Balzola (l’edificio è oggi conosciuto come Castello Fassati-Bertinotti o Castello Vecchio) iniziarono una sommaria ricostruzione di quanto rimaneva dopo il rogo; il fabbricato quindi fu distrutto e riedificato a più riprese, tra il Settecento e l’Ottocento, per farne una dimora gentilizia. Non fu mai portata a termine e nel corso del secolo passato a causa dell’abbandono si trasformò ben presto in una pittoresca rovina: nel 1971 crollò la facciata principale cui fecero seguito altri cedimenti. Attualmente il complesso è cadente, strutture murarie e torri sono allo stato di rudere.
Fatto sta che i continui rifacimenti e ricostruzioni, mai ultimati, le precarie condizioni statiche dell’edificio, protrattesi nei secoli, nonché la serie di cedimenti e di crolli, avvenuti nei secoli, forse dovuti a errati calcoli strutturali, e, infine, la mancata utilizzazione del fabbricato hanno dato origine a curiose leggende. Come racconta Walter Haberstumpf, studioso di storia locale: “All’interno del castello vi sarebbe un fantasma di un mago lebbroso che maledisse il castello quando ne fu cacciato dai proprietari, risoluti a ristrutturare l’edificio. Da allora, si narra che, chiunque provasse a ricostruire, o ad abitare il maniero s’imbatterebbe nel fantasma del mago, una figura maschile evanescente, ma ben visibile vestita di tela di sacco o iuta, con tanto di bastone munito di campanella, tipico dei lebbrosi”.
In effetti Balzola fu devastata dal contagio portato dai soldati. La peste si diffuse nel periodo tra il 1629 e il 1633, colpendo diverse zone dell’Italia settentrionale e raggiungendo il Granducato di Toscana, così come la Svizzera, con la massima diffusione nel 1630. L’epidemia è nota anche come peste manzoniana perché venne ampiamente descritta da Alessandro Manzoni nel romanzo “I promessi sposi” e nel saggio storico “Storia della colonna infame”.
Tornando a Balzola, un’altra leggenda vuole che un gruppo di fanciulli entrati nei sotterrai del palazzo, pericolante, avrebbero rinvenuto nei sotterranei una lapide recante una maledizione. Di quei bambini si perse ogni traccia, ma in alcune notti ventose alcuni abitanti della zona assicurano che si possano ascoltare i loro lamenti, tra le rovine del maniero. Lamenti provenienti dal sottosuolo dove, secondo un’accreditata tradizione i Tizzoni avrebbero fatto costruire un lungo sotterraneo che collega il castello e il borgo di Torrione, oggi frazione di Costanzana, proprio sul confine tra le province di Alessandria e Vercelli. Un cunicolo che, secondo i bene informati, avrebbe bocche di areazione ogni cinquecento passi. Tutto da appurare ovviamente, anche se non sempre la fantasia viaggia a velocità superiori alle logiche della storia.
Piero Abrate