Lingua & tradizioni piemontesi

“Ciàu Turin” e le altre canzoni che accompagnarono i nostri emigranti oltre oceano

Sono numerosi i brani che rievocano, in epoche diverse, i flussi migratori di migliaia di piemontesi, liguri e italiani di altre regioni verso il Sud e il Nord America, tra la fine dell’Ottocento e gli Anni Quaranta del Novecento. Tra questi anche “Mamma mia dammi cento lire…” e “Ma se ghe penso”

La canzone popolare “Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar” esprimeva, da un lato, nelle note e nel testo tutto l’anelito delle giovani generazioni del primo Novecento di affrontare nuove avventure in lontani paesi stranieri per garantirsi un futuro migliore ma, nello stesso tempo e d’altro canto, anche il dolore per lo struggente distacco dai genitori, dalle famiglie, dagli amici e dal paese natio.
Il brano, di autore anonimo, riprendeva la melodia di un’antica ballata popolare ed è ancora gettonatissimo.

Dal canto suo, il brano “Ma se ghe penso” fa trapelare nelle parole e nella melodia la nostalgia dei nostri emigranti liguri per la loro terra e il loro mare, di cui restano nella mente rimpiante immagini ormai lontane.

Lo spartito del brano “Ma se ghe penso” (1925).
Parole di Mario Cappello, Musica di Attilio Margutti

C’è almeno un’altra canzone sul tema dell’emigrazione che è il simbolo del coraggio e dell’intraprendenza (ma anche della malinconia) con cui migliaia di emigranti  lasciarono Torino e il Piemonte negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale per il Nord e il Sud America, per l’Australia ed altri paesi sconosciuti e lontani. Questo brano, Ciàu Turin, divenne un successo degli Anni Cinquanta e fu interpretato (e reinterpretato) da numerosi artisti, tra cui il melodico Luciano Tajoli e il cantautore Gipo Farassino.

È una canzone del 1949, che si snoda su un ritmo di marcia: il testo originale fu scritto da Lampo; la musica fu composta da Carlo Prato. Il motivo ottenne il 1° Premio assoluto al Festival di Nizza (Francia).

La cover dello spartito “Ciàu Turin” (1949),
con Parole di Lampo e Musica di Carlo Prato

Lampo era il nome d’arte del paroliere, che al secolo rispondeva al nome di Luigi Lampugnani: fu attore (nel 1934 nel film “Piccolo alpino” e nel 1940 in “Villafranca”), sceneggiatore e paroliere. In coppia con Carlo Prato (scopritore, tra l’altro, del Trio Lescano) compose questa bella canzone, che può essere considerata l’inno dei piemontesi emigrati all’Estero: l’equivalente della già citata “Ma se ghe penso”, che però venne scritta 24 anni prima (nel 1925) da Mario Cappello e Attilio Margutti.

Quando fu composto il testo di Ciàu Turin, era ancora parzialmente in uso la vecchia grafia della Lingua piemontese che prevedeva che il suono vocalico “u” (corrispondente alla u italiana) venisse indicato con una ô con l’accento circonflesso (“ël caplèt”, ovvero il “cappelletto”, come veniva chiamato). Oggi il suono “u” si scrive con una “o” senza accento. A meno che il suono “u” sia inserito in un dittongo di cui la prima vocale sia accentata, come nel più confidenziale dei saluti piemontesi (in tal caso si usa la “u”, come in ciàu, Pàul, ecc.).
Ma non è questa la sede per approfondire le eccezioni di una particoalre regola della grafia piemontese.  L’importante è sottolineare che ciò che distingue il ciàu piemontese dal ciao italiano è quella “u” finale, che è pronunciata in modo evidente. Il termine non è da confondersi con la parola “ciav” (chiave) che si pronuncia come il saluto, ma si scrive in modo differente.

Riportiamo qui di seguito il testo di Ciàu Turin, nella grafia unificata contemporanea (detta anche dei Brandé):

Finalment son rivame la carte,  /   l’ha portamje an riand ël postin. / Am dëspias ma doman devo parte  
e lassé la mia bela Turin. //  Ciàu Turin, mi vado via, / vad lontan a travajé. / Mi sai nen còsa ch’a sia, / sento ’l cheur a tramolé. // Ciàu Turin, mia bela tèra, / che tristëssa, che pensé. / A më smija ganca vèra / ëd dovèjte saluté. //  I vëdrai pì nen la Mòle, / nì ij Capussin. / Porterai pì nen le bele / cite al Valentin. //
Ciàu Turin, mi vado via, / vad lontan a travajé, / ma darai la vita mia / për podèj prest ritorné.

Sergio Donna

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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