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Storia, arte e tradizioni di Montechiaro d’Acqui, borgo medievale dell’alto Monferrato acquese

Aggrappata a un’altura sulla linea di cresta tra la fertile e ampia valle Bormida di Spigno e la più selvaggia e impervia valle Erro, nell’alto Monferrato acquese, sorge la manciata di case in pietra che costituisce la parte alta dell’abitato di Montechiaro d’Acqui, fino al 1863 designato semplicemente come Montechiaro (nel periodo fascista, tra il 1929 e il 1946, accorpato a Denice con la denominazione di Montechiaro Denice) e nelle carte medievali frequentemente indicato con il toponimo di Monsclarus.

Veduta del borgo con la parrocchiale di San Giorgio e la motta con la base della torre.

Borgo suggestivo e isolato, immerso in un paesaggio maestoso, che alterna fitti boschi a pingui pascoli, dove si allevano capre e pecore, inframmezzati da calanchi fioriti, quand’è stagione, di ginestre e timo selvatico, Montechiaro Alto (così chiamato per distinguerlo dall’insediamento collocato in basso, nel fondovalle della Bormida di Spigno, conosciuto come Montechiaro Piana) appare oggi orfano dell’antico castello in pietra, che si elevava al culmine della collina sovrastante il paese e di cui oggi rimangono poche, ma significative tracce.

Inserito nel sistema di torri di vedetta dislocate lungo le strade che si dipartono da Acqui Terme, seguendo gli itinerari appenninici di collegamento con la costa ligure, verso sud, ovest ed est, il castello di Montechiaro d’Acqui venne edificato, nel suo nucleo originario, nel corso del XII secolo, passando in seguito più volte di mano e venendo a lungo conteso, nel secolo successivo, tra la famiglia aleramica dei Del Carretto, marchesi di Savona, che nel 1284 stipulò una convenzione con i rappresentanti della comunità locale, impegnandosi a non violarne le consuetudini, e gli Alessandrini, che, in base alle informazioni riportate dall’abate Casalis e da altri studiosi, si sarebbero impadroniti con la forza del feudo, originando uno scontro armato con i primi.

L’ex-oratorio di Santa Caterina.

A partire dal XV secolo, con l’instaurarsi della dominazione sforzesca e, in seguito, di quella spagnola, si registra l’assegnazione del feudo a un ramo degli Scarampi, famiglia del patriziato astigiano che, arricchitasi con l’esercizio del commercio (con Genova e nelle fiere della Champagne in Francia) e soprattutto con la gestione della rete europea delle “casane”, banchi di cambiavalute e prestito di denaro su pegno (e altri strumenti innovativi di investimento), perseguì dal XIV secolo una accorta politica di acquisizioni territoriali e di castelli nell’area delle Langhe e dell’alto Monferrato. Dal 1708, l’anno che sancì l’annessione del territorio di Montechiaro agli Stati di Savoia, si ebbero altri cambiamenti, ma l’antico castello di Montechiaro risultava già ridotto a rovina a partire dal 1646, irrimediabilmente devastato dalle truppe spagnole nel corso delle guerre che insanguinarono il Piemonte seicentesco.

Della struttura fortificata, ulteriormente danneggiata dagli smottamenti del 1966, sopravvivono poche vestigia, in particolare la motta con la base della torre, parte dei bastioni e alcuni ambienti sotterranei. Recenti interventi di ingegneria naturalistica, volti al consolidamento delle scarpate, hanno consentito la messa in sicurezza dell’altura e la fruibilità del sito come punto panoramico a beneficio dei turisti.   

Il paese di Montechiaro d’Acqui conserva intatto l’aspetto di borgo rurale di sommità d’impianto medievale, con la grande scalinata d’accesso, i voltoni passanti, le stradine lastricate e le caratteristiche case in pietra arenaria locale, ornate da antiche lapidi e portali scolpiti (da segnalare le testine apotropaiche di Casa Zunino, le rosette araldiche visibili sull’architrave di finestra di Casa Garrone, di fattura cinquecentesca e proveniente dal demolito castello, il portale rinascimentale di Casa Benzi, con l’arme dei Del Carretto, la decorazione scolpita di Casa Robiglio, realizzata nel Cinquecento e ispirata al tema del sole celtico).

Il patrimonio architettonico ecclesiastico comprende, nel territorio di Montechiaro Piana, i ruderi della pieve del Cauro, fatta risalire al VII secolo e dedicata alla Visitazione di Maria Vergine ad Elisabetta. Una ricerca condotta dal parroco Don Fiorenzo Ravera ipotizza che la fondazione della chiesetta sia avvenuta nel luogo dove, in epoca romana, sorgeva la mansio di Crixia, postazione situata lungo l’importante asse stradale della via Aemilia Scauri, che collegava Derthona (Tortona) a Vada Sabatia (Vado Ligure) passando per Aquae Statiellae (Acqui Terme). La primitiva pieve perse progressivamente d’importanza con il trasferimento della popolazione verso la cima della collina di Montechiaro, accompagnata dalla creazione, al principio del XII secolo, di una nuova parrocchiale nelle vicinanze del castello.   

La chiesa di San Giorgio Martire, con funzioni di parrocchia di Montechiaro Alto, deve il suo aspetto attuale al cantiere aperto nel 1595: l’interno, in stile tardo rinascimentale a carattere rurale, appare suddiviso in tre navate da rozze colonne in pietra arenaria, e conserva altari in stucco e un tabernacolo trecentesco.

Nell’oratorio di Sant’Antonio, al di sotto della chiesa parrocchiale, è oggi allestito un piccolo percorso museale dedicato alla preziosa reliquia delle Sante Spine della Corona di Cristo che, secondo la tradizione, venne portata in loco nel periodo delle Crociate, per merito di un cavaliere originario di Cortemilia di ritorno dalla Terra Santa. La devozione verso la reliquia, favorita dal clima spirituale della Controriforma Cattolica, trova il proprio momento culminante nella tradizionale processione che si svolge a Montechiaro la prima domenica di maggio e che rievoca l’arrivo, nel periodo medievale, delle Sante Spine in questa piccola comunità dell’alto Monferrato. L’autenticità della reliquia troverebbe riscontro nell’inserimento della parrocchia di Montechiaro nell’elenco delle chiese che possiedono le Spine della Corona di Cristo, custodito nella Basilica della Santa Croce di Gerusalemme.

Su un poggio prospiciente l’altura del castello, s’impone alla vista la facciata intonacata di bianco dell’ex oratorio di Santa Caterina, che in passato assolse funzioni di parrocchiale, prima che si costruisse la chiesa di San Giorgio. L’edificio, tardo cinquecentesco, ospita oggi un piccolo Museo Contadino, con attrezzi della civiltà rurale.

L’altura con le vestigia del castello.

Importante polo devozionale e meta di pellegrinaggio mariano è poi il santuario della Madonna della Carpeneta (toponimo collegato alla presenza di carpini nei boschi circostanti), che si trova in splendida posizione panoramica sul Bric del Forche (anticamente luogo delle esecuzioni capitali) lungo la strada che collega Montechiaro Alto a Ponti. La chiesa, settecentesca, ingloba un antico pilone quattrocentesco, con affresco della Madonna della Misericordia, che sarebbe da ricondurre, secondo la tradizione, a un’apparizione mariana avvenuta nel punto dove sgorga una sorgente d’acqua, nelle vicinanze dell’odierna chiesa, ritenuta ancora oggi depositaria di proprietà medicamentose.

L’iniziativa che condusse alla costruzione della chiesa va anche inserita nel contesto delle rivalità che contrapponevano, tra Seicento e Settecento, la famiglia dei conti Guerrieri, originaria di Ponti, già in competizione con i Del Carretto, e quella, poi sconfitta, dei Serventi. Furono i conti Guerrieri, per sancire il proprio predominio in paese, a patrocinare l’erezione della chiesa santuariale nel luogo dell’apparizione, in accordo con il parroco del tempo, che intendeva aggregare attorno a un polo devozionale comune il sentimento religioso dei suoi parrocchiani.

Strettamente legata alle radici culturali e alle abitudini alimentari di Montechiaro e del territorio del basso Piemonte, tra le alte Langhe e l’alto Monferrato, è la cosiddetta Anciuada dar Castlan, la tradizionale distribuzione dei panini farciti con acciughe e bagnèt verd che si tiene ogni anno in concomitanza con la processione delle Sante Spine, nella prima settimana di maggio, e che richiama alla memoria gli intensi e proficui traffici commerciali intrattenuti per secoli tra la costa ligure, da cui provenivano le acciughe sotto sale, e l’entroterra piemontese, che offriva come contropartita la carne bovina, i formaggi caprini e ovini, i salumi, le granaglie, la legna.

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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