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Quella roccia dei Giardini di Piazza Cavour dedicata a Pinin Pacòt, poeta piemontese…

Una lapide “orizzontale” tra l’erba verde di uno dei più suggestivi giardini torinesi.

TORINO. Tra le sorprese che ci offrono i Giardini di Piazza Cavour, tra collinette, passaggi tortuosi, alberi frondosi e imponenti, e scorci architettonici suggestivi, c’è anche una lapide, o meglio, una roccia, posizionata a terra, tra il verde dell’erba, che riporta incise cinque parole:

A PININ PACÒT, POETA PIEMONTÈIS

e sulla quale è stata incastonata un’effigie in bronzo, in bassorilievo. 

Pinin Pacòt, ovvero Giuseppe Pacotto, è stato uno dei più grandi poeti piemontesi del Novecento. Pacòt nasce a Torino il 20 febbraio 1899. Suo padre è orologiaio. Sua madre, Margherita Adorno, è originaria di Castello d’Annone, nell’Astigiano.

Pacòt vive quasi sempre a Torino, ma fin dall’infanzia suole trascorrere a Castello d’Annone le vacanze estive. Ama questo paese come se ci fosse nato, e i suoi vigneti, i paesaggi agresti, la semplice vita di campagna sono fonte d’ispirazione di molte sue poesie. Di questo comune, verrà anche eletto sindaco per un breve periodo. Qui si ritirerà per trascorrere gli ultimi anni della sua vita, e vi morrà nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1964, a 65 anni.

A iniziare Pacòt alla poesia, e in particolare a quella in piemontese, è stato Marco Lessona, suo professore di Letteratura Italiana all’Istituto Tecnico Commerciale “Germano Sommelier”, che Pacòt frequentava per conseguire il diploma di ragioniere. Poco più che sedicenne, nel 1915 pubblica cinque sonetti e quattro altre poesie sul periodico dialettale Birichin. Si diploma nel 1917; poi parte come volontario nella Prima Guerra Mondiale, ma viene fatto prigioniero e internato nel lager di Celle, nei pressi di Hannover, dopo la disfatta di Caporetto.

Pur soffrendo per le difficili condizioni della prigionia, non si scoraggia e ne approfitta per studiare il tedesco, e sfoga il suo disagio fisico e psicologico scrivendo poesie. Compone versi in piemontese, in provenzale e in italiano e testi di canzoni. Pacòt stesso considererà queste rime “dei poveri versi, ma non privi di sincerità e commozione e, perché sofferenti, anche molto cari”.

Al termine del conflitto, e tornato a Torino, entra come impiegato all’Istituto Bancario San Paolo di Torino. Ci resterà per quarant’anni: lascerà il lavoro solo al raggiungimento dell’età della pensione.

Nel 1926 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Arsivòli (fantasticherie, voli della fantasia), che ottiene un grande successo. La raccolta è dedicata al già citato Marco Lessona, che gli fornì i primi fondamenti di metrica e tecnica del verso, incoraggiandolo nell’attività di poeta. Alcune sue poesie sono pubblicate sulla rivista Caval ’d Brôns.

Nel 1927, con Oreste Gallina (Oreste Galin-a) e Luigi Fiocchetto (Vigin Fiochèt) fonda la rivista Ij Brandé – Arvista ’d poesìa piemontèisa. Questa prima esperienza editoriale durerà tuttavia soltanto per i primi cinque numeri della rivista. Nel frattempo, Pacòt diventa la voce più fervente e rappresentativa della Companìa dij Brandé, un gruppo di poeti e scrittori che si propongono di dare nuova linfa alla lingua e alla letteratura piemontese e di promuovere le tradizioni linguistiche e storico-culturali del Piemonte.

La seconda raccolta è del 1936, Crosiere (Incroci), che raccoglie poesie ispirate dalle suggestioni della natura, dai paesaggi piemontesi e dal carattere e dallo stile di vita della sua gente. Riportiamo un commento di Luigi Olivero (Luis Olivé, 1909-1996), pubblicato nel 1936 sulla rivista Armanach Piemontèis, di cui proponiamo un passo, dopo averloliberamente tradotto in italiano:

Poesìe e pàgine ‘d pròsa | Poesie e pagine di prosa, di Pinin Pacòt, A l’ansëgna dij Brandé, Turin, 1967

Lispirazione di Pacòt ha sempre un carattere delevazione, di orgoglio, di distacco assoluto da tutto ciò che è volgare, trito e ritrito, sia esso bisbigliato o urlato dal popolo. Sul cavallo alato dei sogni e degli ‘arsivòli’, Pinin Pacòt ne ha fatta di strada. Ha incontrato incroci (‘crosiere’), dove qualche nuvola di polvere gli aveva nascosto la strada maestra, ma lui ha saputo ritrovare quella strada, ripercorrendola però su sentieri paralleli, nuovi e affascinanti, senza farsi troppo deviare dalla passione per la poesia provenzale di Frédéric Mistral o farsi troppo attrarre dalla malìa della poesia di Verlain”.

Nel 1946 esce Speransa, una raccolta di liriche di delicata e leggera tenerezza, ispirate dalla nascita del figlio Giovanni. Sempre nel 1946, intanto Pacotto dà il via al secondo ciclo di pubblicazioni della rivista Ij Brandé | Giornal ëd poesìa piemontèisa, che questa volta continueràad uscire regolarmente fino al 1957.

Nel 1951 pubblica Gioventù, pòvra amìa (Gioventù, povera amica): sono ormai lontani i tempi degli Arsivòli. Il poeta è ormai entrato negli anni della maturità, più idonei ai bilanci personali e alle meditazioni, ma sempre mediate dalla sensibilità del suo cuor di poeta, piuttosto che a progettare e a vagheggiare il futuro.

Tra il 1959 e fino alla sua scomparsa, Pinin Pacòt cura inoltre la pubblicazione dell’Armanach dij Brandé: l’ultimo numero è stato quello dell’anno 1965.

L’ultima raccolta poetica di Pacòt è stata Sèira (Sera), pubblicata nel 1964, alcuni mesi prima della sua morte. Con Sèira, Pacòt tocca l’apice della sua poesia: lo stile è perfetto, le immagini sono delicate, la sua ispirazione creativa colloca la sua poesia al vertice della letteratura piemontese.

A partire dal 1967 tutta la sua produzione poetica, insieme ad una selezione di prose, è stata pubblicata nel volume Poesìe e pàgine ’d pròsa a cura della Ca dë Studi piemontèis (Centro di Studi piemontesi).

Riportiamo, liberamente tradotto dal piemontese, un profilo critico e umano sulla figura di Pinin Pacòt, effettuato dal prof. Sergio Girardino (Sergi Girardin), linguista e cultore della lingua piemontese e docente di Letteratura comparata all’Università di Montréal (Canada):

“Pacòt è l’anima del nostro tempo. La sua battaglia per la sopravvivenza della lingua della sua terra, la sua continua ricerca della bellezza, della luce, della verità e dell’umanità in mezzo alle guerre e ai lutti, il suo impegno di far rivivere parole antiche per dar dignità e vigore alla millenaria lingua piemontese, la sua solitudine esistenziale nei momenti critici delle “crosiere” della vita, ne fanno un modello per tutti noi, spesso incerti  nella ricerca della nostra lingua e della nostra identità. Pinin Pacòt, poeta della nostra terra, voce della nostra gente, è la nostra coscienza linguistica e culturale. In lui riconosciamo il modello della nostra lotta e della nostra determinazione di vivere come Piemontesi la nostra avventura culturale, pronti con tutti i popoli del mondo a dialogare insieme nella nostra lingua: questa lingua che, unica, esprime il nostro passato, il nostro presente, la nostra gente e la nostra cultura; questa lingua che Pacòt ci ha lasciato, fluida, completa, ardita e più affascinante che mai, affinché noi la custodissimo, e la amassimo come lui l’ha amata”.   

Un quadro completo della figura poetica di Pacotto non può essere tracciato senza rileggere il commento che di lui ci ha lasciato un altro grande poeta torinese del Novecento, Nino Costa:

“…Ecco finalmente un poeta che non ci ricorda un altro poeta: Giuseppe Pacotto, colui che – abbandonate le vecchie consuetudini della poesia dialettale – cerca nella infinita sinfonia della natura e del cuore un suono che sia tutto suo”.

E per finire, prima di congedarci da Pinin Pacòt, e riprendere la nostra passeggiata nei Giardini Cavour, rileggiamo ancora una delle sue poesie, che ha la grazia e l’intensità di una fervente preghiera:

Col di, Nosgnor, col di che ti it ëm ciame, / grassie, it dirai, dla vita che it l’has dame; / grassie, it dirai për l’aria che as respira, / për l’ànima sorela che a sospira, / për tut ël cel slargà su la campagna, / e për la man sorela che am compagna…”

Sergio Donna

Bibliografia:

Autori Vari, Giardini di Torino | Storia, incontri & leggende nei parchi della città, self-publishing degli autori, Ël Torèt-Monginevro Cultura, con il patrocinio dell’Associazione Monginevro Cultura e dell’ANSMI, Torino 2021

Sergio Donna, Epigrafi sui Palazzi di Torino, self-publishing, Ël Torèt-Monginevro Cultura, Torino 2012

Sergio Donna, Pinin Pacòt | Una pietra nei giardini di Piazza Cavour, in Torino Storia, n° 54, Dicembre 2020

         

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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