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La nicchia nascosta dove riposano le spoglie di Madama Cristina

La prima grande reggente del Ducato di Savoia nel Seicento barocco giace dimenticata in un anfratto d’una cappella laterale nella chiesa di Santa Teresa a Torino

TORINO. Madama Cristina, o Chrestienne de France, è stata la prima “Madama Reale” di Casa Savoia: sotto il suo governo, si sviluppò quella stupefacente Torino barocca, che ancor oggi incanta i turisti in visita al capoluogo subalpino. I suoi gusti raffinati influenzarono anche le cosiddette residenze de plaisir, nel circondario della città, come l’elegante Castello del Valentino, sul Po, e la ricercata e appartata “Vigna” in collina, ora nota come Villa Abegg.

Era una parigina autentica, essendo la figlia del re di Francia Enrico IV di Borbone (e sorella del futuro re Luigi XIII), nata e cresciuta nella rigidità del cerimoniale e nello sfarzo della Corte francese. Ma in lei scorreva anche sangue italiano, essendo sua madre una fiorentina d’alto lignaggio: Maria de’ Medici, che sposando Enrico, divenne regina di Francia. Quando Cristina giunse a Torino (era il 1619) non aveva che tredici anni: i suoi abiti e il suo portamento erano quelli di una donna adulta, ma il suo profilo tradiva la sua giovane età. Ma tant’è: era lei che, in omaggio alla ragion di stato, era stata prescelta per essere la sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia, che di anni ne aveva già compiuti 31. Fu così che Cristina di Francia-Borbone divenne Duchessa di Savoia e Regina di Cipro.

La chiesa di Santa Teresa a Torino

Quel matrimonio doveva consolidare l’alleanza tra lo Stato sabaudo e la Francia, rafforzando il prestigio dei Savoia tra le Case regnanti d’Europa. Ma nel 1637, Cristina si ritrovò sola a reggere lo stato: era rimasta vedova. La duchessa, portando gli abiti del lutto, dimostrò subito la sua fermezza, assumendo con determinazione la reggenza del Ducato in nome del figlioletto, il futuro Carlo Emanuele II.  Nella gestione del potere, si scontrò però con i suoi cognati, il Cardinal Maurizio e il Principe Tommaso di Savoia, alleati degli Spagnoli. Scoppiò così una vera e propria guerra civile (tra i filo-francesi, che sostenevano le ragioni della reggente, e i filo-spagnoli, che invece sostenevano quelle dei fratelli del defunto duca, nella loro pretesa di succedere al  trono). La guerra civile si protrasse fino al 1642, quando, finalmente, si firmò la pace fra la reggente e i cognati: venne stipulato un conciliante trattato, che prevedeva – tra l’altro – il matrimonio della figlia di Cristina, Ludovica, con lo zio, il Cardinal Maurizio. Cristina riuscì così a mantenere l’indipendenza del Ducato e del proprio potere: lo scettro fu ceduto formalmente al figlio Carlo Emanuele nel 1648, al raggiungimento della sua maggiore età, anche se Madama Cristina continuò di fatto a governare il Ducato fino alla morte, avvenuta il 27 dicembre 1663.

Cristina è stata una grande duchessa, e resse il Ducato con saggezza, competenza e determinazione. Ma la sua vita privata alimentò non poche maldicenze, pettegolezzi e dicerie (e non solo sul conto del conte Filippo d’Aglié, cortigiano raffinato, coreografo di corte, che divenne suo fedele consigliere ed amante) tanto da meritarsi l’appellativo di “civetta” di Casa Savoia.

La duchessa con i figli Carlo Emanuele, Margherita Violante ed Enrichetta Adelaide

Certo – dopo la morte del marito – la volitiva vedova non disdegnava di essere corteggiata da ufficiali, uomini di stato, e – chissà? – persino da aitanti staffieri, ma quelle ardite leggende metropolitane che affermavano che Cristina, dopo aver consumato una notte di fuoco con uno spasimante, finisse addirittura per ucciderlo (o farlo uccidere), per poi farne disperderne il cadavere nel Po, erano solo delle inaudite malignità, forse alimentate dalla gelosia di qualche cortigiana invidiosa. Sta di fatto che in tarda età, forse per espiare qualche peccatuccio di gioventù, forse per sentita vocazione spirituale, Cristina finì per privilegiare il trascendente alla mondanità, praticando la mortificazione corporale. Negli ultimi anni di vita, Cristina trascorreva molto tempo in preghiera nel Monastero delle Carmelitane Scalze, da lei stessa fondato, e che allora era annesso alla Chiesa di Santa Cristina.

Nel 1664, la sue spoglie vennero accolte nella citata chiesa che si affacciava sulla Place Royale (l’attuale Piazza San Carlo). La salma indossava gli abiti di una semplice monaca: venne sepolta sotto l’altare, in un vano posizionato sotto il coro della Chiesa, destinato ad accogliere i corpi delle suore defunte. Durante l’occupazione napoleonica la Chiesa di Santa Cristina diventò sede della Borsa di Commercio. Nel 1802, le spoglie di Madama Cristina vennero così traslate nella vicina Chiesa di Santa Teresa, nell’omonima via, e ancor oggi si trovano lì.

La tomba nascosta all’interno della chiesa torinese

Chi entra nella magnifica chiesa barocca (commissionata proprio da Madama Cristina ed eretta a partire dal 1642 su disegno del carmelitano Andrea Costagurta, progetto poi ripreso e completato da Filippo Juvarra), chi entra – dicevamo – subito a destra, trova la Cappella di Sant’Erasmo: al suo interno si apre una stretta nicchia, in cui sono state raccolte le spoglie di colei che è stata una protagonista della storia sabauda, una donna che per trent’anni ha tenuto saldamente nelle mani le redini di un potente Ducato, contribuendo al suo sviluppo militare, economico e politico.

In un angusto anfratto di un altare laterale d’una chiesa torinese, giace dunque la grande Madama Cristina di Savoia. Ma sono in molti a pensare che la fiera Madama Reale avrebbe meritato una tomba migliore.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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