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Un itinerario alla scoperta della canapicoltura tra Carmagnola e Prazzo

La canapicoltura sino alla metà del Novecento è stata una voce economica fondamentale per diverse zone del Piemonte, come il Canavese, il cui nome, sebbene sulla base di una falsa etimologia, era fatto addirittura derivare dalla canapa di tipo nordico, qui largamente coltivata (Cannabis sativa, da non confondere con l’altra varietà, la Cannabis indica). Il ramoscello di canapa, proprio in ragione della pseudo-etimologia Canavese-canapa, compare anche come emblema centrale dell’arme dei potenti conti Valperga, elemento iconografico ricorrente in molti castelli e residenze dell’area, in origine citati dalle fonti come conti “de Canavise”.

Oggi in Canavese, e in altre zone del Piemonte, dove la canapa venne abbandonata dalla metà del Novecento sia per la eccessiva laboriosità della lavorazione rispetto ai rendimenti, sia per la concorrenza in campo tessile di fibre naturali (cotone), artificiali e sintetiche (nylon), si sta progettando di riportarne in auge la coltivazione. I possibili usi sono molteplici, non solo in ambito industriale (fibre tessili, pannelli isolanti per l’industria edile, impieghi nel settore mangimistico, cartario, cosmetico, automobilistico), ma anche alimentare (produzione di olio e di farina di canapa, ottenuta dalla macinazione dei semi e ricercata perché priva di glutine, anche se va considerata come farina da taglio da utilizzarsi negli impasti in concorrenza con altre farine per un massimo del 20%).

Nei pressi di Carmagnola, in frazione San Bernardo, nel corso del Seicento si sviluppò la produzione di corde, cordami e spaghi, ricavati proprio dalle fibre di canapa coltivata in zona: i locali mastri cordai acquisirono presto rinomanza internazionale per la qualità dei loro manufatti, tanto che una delle tipologie di sementi un tempo più utilizzate per la canapa prese il nome di “Carmagnola” e proprio in questa città, famosa per i peperoni, ha sede oggi Assocanapa, associazione istituita per promuovere il ritorno della canapa come forma di integrazione del reddito agricolo (in borgo San Bernardo, sotto uno degli ultimi sentè, camminamento coperto o tettoia per la lavorazione delle corde in canapa, è visitabile l’Ecomuseo della Cultura della Lavorazione della Canapa).

Una vecchia cartolina di Borgo San Bernardo

L’importanza della canapicoltura nel Piemonte montano è attestata poi da iniziative museali e di ricerca come il “Museo della canapa e del lavoro femminile – Freimos, travai e tero”, allestito a Prazzo in valle Maira (cui si riferiscono le immagini), che si collega a una serie di progetti volti al recupero di forme di architettura popolare legate al ciclo di coltivazione e lavorazione della canapa che hanno contribuito nei secoli passati alla modellazione del paesaggio con rivi, fossi, maceratoi, sentè (tettoie) e batou (battitoi).

Il museo, rientrante nel circuito museale delle valli, si propone di illustrare ai visitatori le varie fasi del ciclo produttivo della canapa, mettendo in risalto la preminenza del lavoro femminile, che si rendeva indispensabile in epoche in cui nelle aree montane la manodopera maschile, terminato l’impegno con i lavori agricoli, nella stagione fredda scendeva nelle città di pianura o transalpine per dedicarsi a mestiere itineranti o stagionali.

Museo della canapa a Prazzo: manichino di donna, a grandezza naturale, intenta a filare la canapa con il fuso o la conocchia

In particolare in valle Maira gli abitanti, a seconda dei versanti e dei paesi, s’erano specializzati nei mestieri dell’ancioé (mercante di acciughe e pesce sotto sale, acquistati presso i porti liguri e provenzali e rivenduti di cascina in cascina o nei mercati piemontesi e padani), il cavié (acquirente di capelli veri, destinati alla fabbricazione di parrucche prima che s’introducessero le fibre sintetiche), il bottaio (fabbricatore di botti, specialmente di castagno, per l’affinamento e conservazione del vino).

Alla donna, in assenza del marito o dei maschi della famiglia, era quindi affidata in prevalenza la gestione delle fasi essenziali della coltivazione e lavorazione della canapa, assai diffusa nelle terre montane sino a pochi decenni fa: la semina, la battitura, la filatura, il confezionamento di biancheria e capi di abbigliamento. La coltivazione avveniva su appezzamenti anche in notevole pendenza (per cui si usavano scarpe ramponate, per evitare rovinosi capitomboli), con piante che potevano raggiungere i due metri d’altezza. Un tempo era coltivato anche il lino, quindi la lavorazione dei tessuti in certi casi era mista, con fibre di lino e canapa.

Antico telaio per la lavorazione della canapa all’interno del museo di Prazzo

Oltre all’esposizione di attrezzi e manufatti legati alla lavorazione della canapa (telai, fusi o conocchie per la filatura, pettini in ferro per la cardatura) con la ricostruzione di ambienti che richiamano la vita d’un tempo, il museo offre, per una maggiore completezza conoscitiva, pannelli esplicativi, che disegnano un percorso didattico ben documentato, una sala multimediale e un archivio consultabile con filmati e documenti.

Il  museo  è  visitabile  rivolgendosi  a “ La Gabelo ”   (negozio  a  sinistra dell’entrata al Museo) – tel. 0171-99265 -Via Nazionale 9 Prazzo Inferiore in  orario  9-12 / 15.30-18.30,  chiuso  il  martedì  da  settembre  a  giugno.

Informazioni scrivendo a info@comune.prazzo.cn.it

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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