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Personaggi che hanno segnato la storia e la cultura del Piemonte: Massimo d’Azeglio

Statista militare, politico anti-austriaco e contro l’unificazione, pittore, scrittore, aristocratico, dandy, anticonformista, parlare di Massimo d’Azeglio è parlare delle immense sfaccettature di un uomo poliedrico, di un grande personaggio che, in Piemonte e per l’Italia, ha vissuto ed agito in uno dei momenti storicamente più importanti della nostra penisola. Pitor ëd mësté, come egli stesso amava autodefinirsi, autore di fortunati romanzi come l’Ettore Fieramosca, politico lungimirante, questo grande nome della nostra regione fu protagonista di alcuni grandi conflitti del passato, impossibile non ricordare a proposito i dissidi avuti con Pio IX, Cavour, Gioberti, o le amicizie con grandi personaggi quali Carlo Alberto e Cesare Balbo.

Cerchiamo di ripercorrere assieme la vita di questo personaggio così singolare, rimandando però, come è sempre indispensabile fare quando si parla di vite di così gran spessore, alla biografia stessa che il d’Azeglio scrisse sul finire della sua vita ed ai numerosi saggi ed opere di critica che, su questo nostro grande conterraneo, sono stati scritti.

Il dipinto la “Battaglia di Legnano” realizzato da Massimo d’Azeglio nel 1831

Quarto figlio del Marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, noto esponente della restaurazione sabauda e del cattolicesimo subalpino, Massimo nasce a Torino nel 1798, in via del teatro d’Angennes, l’attuale via Principe Amedeo. Già da subito si comprende il carisma e l’intelligenza del giovane. L’infanzia di Massimo è un’infanzia lontana dalla sua terra natia: a causa dell’occupazione napoleonica, il giovane d’Azeglio è costretto a vivere fino ai 12 anni a Firenze, dove incontra alcune personalità che segneranno in maniera forte il suo cammino: oltre alla contessa d’Albany, da cui ogni domenica mattina si dirige a ripetere i versi che lei gli faceva imparare durante la settimana, qui Massimo incontra anche Vittorio Alfieri, all’epoca amante della contessa e caro amico del padre. Sarà proprio quest’ultimo che, all’età di quattro anni, lo farà posare nello studio di François-Xavier Fabre come modello per il Gesù bambino della Sacra famiglia che oggi orna una chiesa di Montpellier. L’educazione del giovane fu molto autoritaria. Iscritto all’età di tredici anni all’università di Filosofia di Torino, dove la famiglia era tornata nel 1810, il giovane Massimo segue i corsi senza vivacità, istruito dal padre, tanto nella mente, quanto nel corpo, con un rigore quasi militare. Dante, il Tasso, il Pulci, l’Ariosto: un’educazione, quella del padre, che attraversava i molti rami della cultura, senza però tralasciare la cura del fisico. «Guai se nostro padre ci coglieva un momento nell’italico dolce far niente! Per fortuna questa dolcezza fu sempre poco gustata dai Piemontesi […] Così nostro padre trovava occasione, secondo le posizioni e gli oggetti, di parlarci d’un po’ di tutto, ed in ispecie d’opportunità e applicazioni militari. Ci avvezzava a trovar facilmente la strada, a indovinarne la direzione, a riconoscere luoghi già traversati, a veder la probabilità di trovar acque, la vicinanza dell’abitato, la prossimità delle vette nel salire i monti, la misura ad occhio delle distanze, la figura dei terreni, ec. ec.; tutte cose che in mille occasioni, in tempo di guerra ed anche in circostanze comuni, serve moltissimo avere alla mano», scrive lo stesso letterato nel primo volume di “I miei ricordi”. Impossibile non ricordare, negli aneddoti della vita del giovane D’Azeglio, quelli riguardanti gli esercizi ginnici cui lui ed i suoi fratelli erano sottoposti, che tra tutti forse contribuiscono maggiormente a regalarci l’immagine della gioventù di quest’importante personaggio: «mio fratello, dipoi gesuita, allora era chierico; e me lo ricordo benissimo, quando faceva il detto salto mortale colla sua veste nera lunga quale portano i preti. In quel sacco di carbone che si rivolgeva sul proprio asse per aria, chi avrebbe veduto e preveduto il padre Taparelli, Direttore della Civiltà Cattolica, e uno dei barbassori della Compagnia di Gesù?».

Sulle orme del padre, che aveva seguito a Roma, entrò in accademia come allievo ufficiale militare sottotenente di Cavalleria, ma la carriera militare non trovò il suo interesse. Dopo qualche mese, a causa dei dissensi nei confronti della classe aristocratica, entrò nella Guardia Provinciale con mansioni di segretariato, presso l’ambasciata sarda di Roma. Qui, entra anche in contatto con i grandi pittori e scultori del suo tempo: Canova, Thorvaldsen, Rauch, Camuccini, Landi. Nasce così la grande passione che animerà sempre l’anima culturale di Massimo d’Azeglio: la pittura.

Dopo un breve ritorno a Torino, dove Massimo subì un forte esaurimento nervoso, la vita del futuro politico italiano inizia a muoversi tra i grandi salotti culturali dell’epoca: Roma, Firenze, Milano; dopo aver scritto un poema cavalleresco in ottave, due opere teatrali ed alcune poesie patriottiche, conoscerà qui la figlia primogenita di Alessandro Manzoni, Giulia, che sposerà nel Maggio 1831. Dal loro matrimonio, durato poco per la dipartita della giovane ragazza, nascerà Alessandra, la loro unica figlia.

Sviluppata negli anni 1843-44 una crescente passione per la politica, alimentata attraverso i numerosi colloqui col cugino Cesare Balbo, accettò nel 1845 di fare per il movimento liberale un viaggio per le Romagne, le Marche e la Toscana. Al ritorno scrisse “Gli ultimi casi di Romagna”, un opuscolo ostile alle sette, ma ancor di più al malgoverno papale. Pagine che gli costarono il posto nel Governo toscano. Espulso dalla carriera, dall’avvento di Pio IX vide possibile la realizzazione del proprio programma liberale moderato e legalitario (nel 1847 espose il suo pensiero nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana), puntando prima su Pio IX e poi su Carlo Alberto. «In Italia, della quale soltanto intendiamo occuparci, le successive modificazioni dell’opinion pubblica nel passare dall’antica fede nella forza materiale, alla nuova fede nella forza morale, appaiono chiaramente espresse nelle vicende degli utimi trentadue anni: nell’incessante regresso dall’uso de’mezzi violenti; nel continuo progresso de’mezzi razionali». Scoppiata la guerra per l’indipendenza del regno di Sardegna, Massimo d’Azeglio fu aiutante di campo del generale Durando. Qui, si distinse come capo della difesa di Vicenza, in una missione militare condotta con estremo coraggio e poche risorse. Il 10 giugno 1848, ripiegando da Monte Berico, ridotto con una manciata di uomini e altrettante munizioni, a fronte di un esercito austriaco più numeroso e meglio equipaggiato, fu ferito al ginocchio destro e costretto alla ritirata verso Ferrara, sofferente e col timore di essere arrestato. Troverà riparo dal Cardinal Legato Luigi Ciacchi.

Autoritratto di Massimo d’Azeglio

In contrasto con le idee dei democratici e dei repubblicani, da lui incolpati per il fallimento della guerra del 1848-1849, d’Azeglio rifiutò ufficialmente un primo invito a formare il ministero piemontese: un rifiuto solo temporaneo, ad ogni modo, perché il 7 Maggio 1849 fu costretto ad accettare, inchinatosi di fronte al comando del re. Massimo d’Azeglio diveniva così Primo Ministro del Regno di Sardegna, dando vita all’oggi chiamato Governo d’Azeglio I; era uno dei momenti più drammatici della storia del paese, al termine della prima guerra d’indipendenza. Chiusa la vertenza austriaca, per cui fu costretto a sciogliere le camere, Massimo d’Azeglio seppe mantenere, nonostante le pressioni austriache, il sistema costituzionale, riformando radicalmente i rapporti fra Stato e Chiesa dimostrandosi favorevole alle leggi Siccardi, che abolirono i privilegi del clero e attirarono sul Gabinetto le pronte (e non felici) risposte della Chiesa. «Importa quindi, ed è anzi necessario, che le leggi civili si osservino da tutti, e si applichino, senza differenza tra ecclesiastici e laici; che alle leggi penali siano gli uni e gli altri ugualmente soggetti (Bene! Benissimo! Vivi segni di approvazione dalle varie parti della Camera); che quelle solenni e protettrici cautele che circondano l’accusato ne’procedimenti criminali, siano indistintamente comuni a tutti gli individui su di cui pende un’accusa; che le stesse leggi siano applicate dagli stessi tribunali, e che la religiosa destinazione di un luogo, per quanto sia da venerarsi, ed anzi per ciò appunto che dee venerarsi, nol renda ricetto ai colpevoli, e non rechi incaglio al vivile e pronto ministerio della giustizia punitrice», era il 1850.

A d’Azeglio, però, la vita politica non piaceva: sempre di più, rimpiangeva i tempi della giovinezza, dei salotti e dell’esercizio della pittura, la sua eterna passione. Dimessosi il 22 ottobre 1852 per le difficoltà suscitategli dal “connubio” Cavour-Rattazzi, D’Azeglio non abbandonò mai la politica ed ebbe in seguito diversi incarichi politici, seppur di minore importanza. Si potrebbe sicuramente dire che la vita del politico d’Azeglio sia stata segnata dal grande impegno nel pubblico, un impegno che lo coinvolse totalmente, portandolo a viaggiare, tanto nella penisola, quanto fuori, anche per lunghi periodi; durante la sua vita politica continuò comunque a dedicarsi alle sue passioni, la pittura e la letteratura. Il nobile Massimo si guadagnò, fra le dame di corte, anche una certa reputazione, tanto che Francesco De Sanctis descrisse la sua attitudine come «un certo amabile folleggiare… pieno di buon umore». Nonostante la grande lucidità che contraddistinse il suo operato, per cui oggi lo ricordiamo, non si può tacere quel forse eccessivo moralismo conservatore e paternalistico che gli impedì di riconoscere il grande significato dietro gli avvenimenti del 1860 e degli anni immediatamente successivi, che portarono all’unificazione del nord e del sud della nostra penisola ed allo spostamento della capitale della neo-nata italia unita a Roma. Passati gli ultimi anni sulle sponde del lago Maggiore, d’Azeglio si occuperà del suo ultimo lavoro: “i miei ricordi”, un’autobiografia che verrà pubblicata postuma nel 1866. Massimo d’Azeglio morirà a Torino nel 1866, in via Accademia Albertina. Oggi, le sue spoglie sono conservate nel porticato del Cimitero monumentale di Torino, liberamente visitabili.

Mirco Spadaro

Mirco Spadaro

Classe '98, rivolese di nascita, frequenta il corso di Lettere Antiche a Torino, sotto il simbolo della città. Tra viaggi e libri, è innamorato della tecnologia e della scrittura e cerca, tra articoli e post su siti e giornali online, di congiungere queste due passioni, ora nella sua "carriera" come scrittore, ora con il "popolo di internet".

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