Leggende piemontesi: a Carrù la Dama blu vaga nel castello con un dardo in mano
A una quindicina di chilometri a nord-est di Mondovì, sopra a una delle numerose terrazze della riva sinistra del Tanaro, si trova la cittadina di Carrù, posta come limite di confine tra l’estesa pianura piemontese e le Langhe per questo viene chiamata porta della Langa. In epoca medievale, Carrù fece parte della Contea di Bredolo, una località nei pressi di Mondovì. All’inizio del X secolo passò sotto il dominio dei Vescovi di Asti, che amministrarono questa regione fino al 1250, quando venne nuovamente ceduta al Comune di Mondovì per oltre un secolo, prima di essere controllata dal Marchesato del Monferrato e successivamente diventare feudo della famiglia Costa fino al 1872, i quali circondarono l’abitato di solide mura e crearono un sistema di difesa più moderno ed efficiente. Le prime notizie relative al castello risalgono intorno al Mille quando un castrum è menzionato assieme alla cappella di San Pietro. Ma l’edificio attuale risale al Quattrocento e nel corso dei secoli fu più volte rimaneggiato. Nel Seicento si fecero grandi interventi e il castello divenne dimora di piacere e di caccia di Gerolamo Maria Costa della Trinità e di sua moglie Paola Cristina del Carretto. I loro discendenti tra cui Vittorio Amedeo (viceré di Sardegna del XVIII secolo) continuarono ad arricchire l’antica dimora di famiglia. Nel 1796 Carrù diventò il quartier generale di Napoleone Bonaparte e il 23 aprile dello stesso anno trascorse la notte nella casa dell’avvocato Pietro Antonio Massimino.
L’aspetto odierno del maniero è il risultato di svariati interventi condotti dai Costa: vi si possono rintracciare parte della merlatura, delle aperture gotiche murate, feritoie a testimonianza della funzione difensiva e strategica della costruzione in periodo medioevale. Nel XVII secolo gli interventi modificano l’assetto e la destinazione d’uso divenendo abitazione di campagna per la villeggiatura dei Costa. Nell’Ottocento alcuni interventi di gusto neogotico più la sistemazione del giardino contemplano la fisionomia tuttora riscontrabile. L’interno conserva grandi saloni, alcuni decorati con motivi floreali e allegorie mitologiche, oltre a una ricca collezione di tele. Tra queste ultime ci sono interessanti opere di scuola piemontese e genovese. Una citazione la merita la “camera dell’alcova” che conserva un arco in legno e stucco dipinto, esempio di gusto decorativo e scenografico barocco. Nel 1977 venne venduto alla Cassa Rurale e Artigiana di Carrù, ora Banca Alpi Marittime Credito Cooperativo Carrù che ne ha fatto la propria sede, dopo aver messo a punto ottimi progetti di riuso dell’edificio. Il castello è aperto al pubblico e visitabile durante alcune manifestazioni, a partire dalla “Sagra dell’uva” che si tiene a settembre. Nel periodo estivo si tengono anche altri eventi all’interno del parco.
Un’antica leggenda narra che nel castello, alla mezzanotte di ogni primo venerdì del mese, appaia il fantasma di una donna vestita di blu che si aggira a passo di danza nei vari saloni. Si stacca da un quadro che la raffigura abbigliata come Diana, dea della caccia e, senza rumori di catene né azioni violente, tipici indizi di molti altri fantasmi, sembra ripercorrere un suo antico sentiero, inseguire remoti accadimenti, tracce ed echi di un tempo lontano in cui visse. E’ appena percepibile il fruscio del suo abito di seta. Tiene in mano una freccia e silenziosa avanza per le stanze quasi fosse alla ricerca di qualcosa lontano e perduto.Ritorna poi, sempre silenziosa, al suo posto. Di chi si tratta? Della già citata Paola Cristina del Carretto, moglie di Gerolamo Maria Costa.
La donna appassionata di caccia, era uscita assieme ad altri per una battuta. Nel bosco si staccò dal gruppo e varcò la soglia di una chiesetta: gli occhi della contessa si fermarono sull’immagine dell’affresco raffigurante la Vergine. Disse una preghiera e uscì, mentre un cerbiatto sbucava dal bosco. La contessa iniziò a seguirlo e poco dopo un urlo pieno di terrore riecheggiò nel bosco. I cacciatori trovarono in un ruscello il cadavere di Paola Cristina. Non si seppe mai chi esattamente scagliò il fatale dardo. Proprio quella sera (era il primo venerdì di settembre 1663) si sarebbe dovuta tenere al castello una festa: per l’occasione la nobildonna aveva scelto un bellissimo abito blu. Si narra che ogni mese alla mezzanotte (sempre al primo venerdì) il fantasma uscirebbe da un quadro presente nel salone principale, dove è rappresentata come Diana, dea della caccia, con il suo bel vestito blu e con una freccia in mano, per vagare nelle sale del Castello di Carrù, alla ricerca del vile colpevole della sua morte, rimasto impunito. La “Dama blu”, come è stata battezzata, non lascia dietro di sé urla evanescenti come sovente accade per i fantasmi, ma un leggiadro fruscio di tessuto e lieve impercettibile passo danzante.