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Il segreto dei canestrelli di Vaie e della Val di Susa

SUSA. Zona del Piemonte che vai, canestrello che trovi. In effetti, forse nessuna specialità dolciaria piemontese si presenta, da una zona all’altra, e persino da paese a paese, in un modo tanto variegato nel gusto, nell’aspetto, nella forma e negli ingredienti come il canestrello.

Il canestrello (chi non lo conosce?) è un “biscotto a cialda”, sottile e friabile, tipico della tradizione popolare alpina e contadina piemontese, cotto artigianalmente entro due piastre a pinza, scaldate sul fuoco vivo, e aromatizzato con anice, vaniglia, limone o cacao. La superficie dei canestrelli è goffrata (a quadretti o a rombi), oppure riproduce uno stemma araldico o di fantasia.

Il Piemonte offre molte interpretazioni di questo dolce tradizionale, prodotto con metodi e ricette alquanto diverse da luogo a luogo, da distretto a distretto. Ma ci sono almeno due prerogative comuni che caratterizzano tutti i canestrelli, ovunque essi siano prodotti: in primis, la loro genuinità, la delicatezza del sapore, e una lunga tradizione secolare; in secundis, la cottura in speciali “pinze”, in ferro o in ghisa, che hanno all’estremità una doppia piastra, dalla superficie goffrata o con incisioni particolari, che imprimono alla fragrante e leggera crosta di ogni canestrello uno stampo particolare.

Se la gamma di questa specialità dolciaria piemontese è ampissima, è anche vero che in ogni area di produzione il canestrello del luogo si caratterizza con tipicità proprie, tali da non confondersi con quelli prodotti in altre località della regione.

Abbiamo già avuto occasione di parlare, su questo quotidiano on line, dei raffinati canestrelli di Biella (chi volesse rileggere quell’articolo, clicchi qui), che sono delle delicatissime e fragranti cialde ripiene di cioccolato o crema, a forma rettangolare, tipiche dell’arte dolciaria sviluppatasi nella cittadina alle falde del Sacro Monte di Oropa.

Molto caratteristici sono pure i canestrelli del polo del Canavese, polo le cui diramazioni s’inerpicano fino alla Valle d’Aosta. Esiste poi il polo dell’Ovadese e del Novese, dove il canestrello locale tende ad assumere caratteristiche molto vicine al canestrello ligure: una soffice e delicata pastafrolla che del dolce piemontese ha sì lo stesso nome, ma dal quale si differenzia non poco, sia nella forma a forma di fiore e bucata al centro, sia nel sapore, sia nell’aspetto organolettico.

Un’altra area tipica di produzione del canestrello piemontese è quella della Val di Susa, della Val Cenischia e della attigua Val Chisone. Ed è proprio dei canestrelli valsusini che in questo articolo vi vogliamo parlare.

Prima però, ci piace ricordare l’etimologia del termine “canestrello”: è evidente la derivazione dalla parola “canestro”, ovvero piccola cesta, cestino. È probabile che i canestrelli, appena  preparati, venissero deposti in piccoli canestri intrecciati o in contenitori di vimini lavorati “a graticcio”, per lasciarli raffreddare. C’è poi un verbo nel lessico piemontese, canëstërlé, che significa intrecciare graticci, ma anche preparare i canestrelli. Del resto, il sostantivo “canëstërlé” (“canestrellaio”) identifica proprio colui che è addetto alla produzione dei canestrelli.

La preparazione dei canestrelli a Vaie durante la tradizionale Fiera di San Pancrazio

I canestrelli della Val di Susa sono stati inseriti dalla Provincia di Torino, ora Città Metropolitana di Torino, nel cosiddetto “paniere” dei prodotti tipici locali. La loro origine è sicuramente molto antica, almeno risalente al Seicento, e continuano ad essere prodotti secondo una ricetta plurisecolare tramandata da generazioni.

I due poli forse più caratteristici della produzione dei canestrelli valsusini sono quelli di Vaie e di San Giorio (questi ultimi sono più sottili rispetto a quelli di Vaie, e sono prodotti soprattutto in occasione della festa patronale del 23 aprile), ma non solo. Nei borghi della Valle, a Condove come a Caprie, a San Giorio come a Vaie, un tempo quasi ogni famiglia produceva in casa i canestrelli nelle giornate di festa, perché fossero gustati insieme a parenti e amici.  Ogni famiglia aveva il suo “ferro” (cioè la pinza a due piastre sulle quali erano incise decorazioni, segni o lettere particolari, che identificavano coloro che li avevano prodotti).

Oggi i canestrelli della Val di Susa sono prodotti in almeno due versioni, quelli “bianchi” e quelli “neri”. Per entrambe le varianti, i comuni ingredienti sono: uova, zucchero, burro, farina, scorza di limone, vino bianco, vanillina e lievito. Per i canestrelli neri, si aggiunge del succo di arancia e/o di limone, cacao in polvere dolce o amaro, marsala, olio e sale.

I tradizionali canestrej di Vaie

Dall’impasto vengono tratte le “palline” di amalgama, poste a graticolare tra le due piastre di ferro o ghisa posizionate all’estremità della pinza (tenuta in mano direttamente sulla viva fiamma), in modo che ognuna di esse possa trasformarsi in un delizioso canestrello. Il prodotto finito ha mediamente uno spessore di circa 1 cm. ed un diametro variabile tra i 6 e i 9 cm.

Crediamo di far cosa gradita ai lettori più intraprendenti, che vogliano produrseli in casa (sempre che dispongano del caratteristico “ferro” a pinza), proponendo loro questa semplice ricetta, che consentirà di ottenere degli ottimi canestrelli, da gustarsi come snack o con il te:

Ingredienti (per circa 2 kg)

1,250 kg di farina
4 etti di burro fresco
2 bustine di lievito
6 uova
6 etti di zucchero
la scorza grattugiata di un limone
1 cucchiaio di bicarbonato

Preparazione

Sciogliere il burro in una pentola a fuoco lento; mescolare lo zucchero, le uova, la scorza di limone grattugiata e la farina. Aggiungere il lievito, mescolare e lasciare riposare 12 ore. Cuocere le “palline” dell’impasto con i “ferri da canestrelli” su fiamma viva, esponendo al fuoco ambo i lati delle piastre. Il risultato sarà sorprendente.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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