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Il popolino lo chiamava malignamente “Carlina”, ma in realtà era un dongiovanni

Di Carlo Emanuele II, duca di Savoia, principe di Piemonte, marchese di Saluzzo, i sudditi mettevano in dubbio la virilità, senza sapere che era un irriducibile sciupafemmine. La sua burrascosa relazione extra coniugale con Jeanne-Marie de Trécesson, dama di corte di Madama Cristina

 

TORINO. Carlo Emanuele II (1634 | 1675), che il popolino chiamava malignamente “Carlina” perché correva voce che fosse un po’ effeminato (la piazza torinese a lui dedicata, in effetti, è tuttora chiamata così), in realtà si dava un gran da fare con le donne. Certo, l’inflessibile madre di lui, Madama Cristina, era un personaggio che tendeva a prevalere nelle decisioni degli affari di stato, e certo il giovane principe ne subiva l’ascendente con non poche frustrazioni. Ed è pure verosimile che le interferenze su di lui e sulla sua consorte non dovessero essere trascurabili. Quando nel 1666, dalla seconda moglie di Carlo, Giovanna Battista di Nemours, nacque finalmente un erede (il piccolo Vittorio Amedeo), tanto sarebbe dovuto bastare per smentire ogni insinuazione sulla sua virilità. Ma il popolo è fatto così, e qualcuno continuava a spettegolare, raccontando in giro che il principe non mantenesse fede ai suoi doveri coniugali sul talamo di corte. Questo non lo sappiamo. Quel che è certo è che l’intraprendente duca non trascurava affatto di corteggiare donne bellissime, che con il suo matrimonio non c’entravano affatto, e sicuramente – almeno con queste – rimorchiava.

Tra le più celebri amanti del duca, ricordiamo Jeanne-Marie de Trécesson e Gabrielle di Mesmes de Marolles, contessa delle Lanze.  La Trécesson, dama di corte di maman Cristina, col giovane duca aveva intessuto una storia che durava da tempo. Tant’è che da questa relazione erano nati tre figli, tutti – ovviamente – non riconosciuti. Carlo Emanuele risolse l’imbarazzante questione facendo sposare Jeanne-Marie con il marchese Pompilio Benso di Cavour (antenato del ben noto statista), facendola marchesa: in cambio, Pompilio si accollò la paternità dei figli del duca.

Ma com’era questa donna, capace di risvegliare la libidine di un uomo che per il popolo era considerato indifferente al fascino femminile? Secondo le testimonianze di una cortigiana, sembra che la Trécesson fosse una ragazzona piuttosto in carne, con la pelle chiara e burrosa, con gli occhi piccoli e una boccuccia insignificante. Ma non c’è molto da credere a queste affermazioni, che potrebbero essere inficiate da una punta di malignità.

E Giovanna Battista, come prese questa storia? Molto, ma molto male. Ne era gelosissima e piccatissima. Pare che la duchessa, che non tollerava più questa relazione, abbia convocato a corte l’amante di suo marito, intimandole di lasciare immediatamente il Piemonte. In un piccante racconto di Guido Gozzano, si legge invece che la duchessa avesse addirittura colto la rivale a letto col marito. Apriti cielo! Ci fu una scenata a dir poco burrascosa. Secondo ancora un’altra opinione, fu il duca a stufarsi di lei, dopo il matrimonio dell’amante con il marchese Pompilio Benso. Più probabilmente fu la stessa Trécesson a lasciare il duca (e il marito) per una nuova fiamma, il marchese François Wilcardel de Fleury, alto e biondo ufficiale della Guardia, che abitava nell’attiguo palazzo Turinetti di Pertengo (ora sede della Banca Intesa San Paolo): uomo affascinante e incallito rubacuori. I due amanti si frequentavano di nascosto, utilizzando – per gli incontri clandestini – un passaggio segreto che collegava Palazzo Trécesson con Palazzo Turinetti, entrambi in Piazza San Carlo. Il destino volle che uno staffiere di corte, tale Cornavin, scoprisse casualmente la tresca. Temendo che il grave scandalo venisse riferito a corte, il Fleury, coadiuvato da un drappello di suoi soldati, inseguì Cornavin, e nei pressi di Caselle, lo uccise, sfigurando il cadavere per ritardarne l’identificazione. Ma Fleury venne scoperto e denunciato: sottoposto a processo, venne condannato a morte; poi la pena venne commutata in una reclusione nel Forte di Miolans, in Savoia. A quel punto, Carlo Emanuele II ripudiò l’amante e la esiliò definitivamente dal Piemonte. Ma si rifece presto con una nuova fiamma: Gabrielle di Mesmes de Marolles, dama di compagnia della consorte Giovanna, destinata a portare ancora per molti anni, suo malgrado, le corna.

A ricordo di Jeanne-Marie de Trécesson, focosa cortigiana capace di conquistare anche un duca ritenuto insensibile al fascino femminile, è rimasto a Torino il nome del palazzo in cui abitava e che si affaccia su Piazza San Carlo, al civico 182

 

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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