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Fa discutere la fiction tv dedicata a Lidia Poët: poco verosimile e molto lontana dalla realtà

TORINO. Nei giorni passati sono comparsi in città numerosi manifesti pubblicitari dedicati alla miniserie in sei puntate mandate in onda (e ora in streaming) sulla piattaforma Netflix dedicata a Lidia Poët, prima avvocatessa d’Italia e pioniera nella lotta per l’emancipazione femminile, nonché tra le ideatrici del moderno diritto penitenziario. Una donna che lottò per raggiungere i propri obiettivi e che spese la sua vita per gli altri.

La legge di Lidia Poët“, uscita su Netflix il 15 febbraio, è diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire. Sostenuta da Film Commission Torino Piemonte e con il patrocinio della Città di Torino, in cui è interamente girata, vede come protagonista Matilda De Angelis, affiancata da Eduardo Scarpetta, Pier Luigi Pasino, Sinéad Thornhill, Sara Lazzaro e Dario Aita.

Benché la serie sia stata molto apprezzata dal pubblico (è terza tra le serie più viste in Italia), è stata invece duramente criticata dai familiari di Poët. Incuriositi abbiamo seguito la fiction dedicata. E con rammarico abbiamo constatato di come la verità storica sia stata stravolta e di come i parenti di una delle donne più battagliere e illuminate d’Italia abbiano ragione. Tra questi vi è una pronipote, Marilena Jahier Togliatto, che ha dichiarato senza mezzi termini. “Nella serie non c’è davvero nulla della mia parente Lidia. Dopo la prima puntata ho abbandonato per sdegno. Io Lidia non l’ho mai conosciuta, ma in famiglia se n’è sempre parlato tantissimo. Avete presente quella scenaccia di sesso all’inizio della prima puntata? E avete esaminato il linguaggio in cui scade a volte la protagnista? È vero, è una fiction, ma nell’Ottocento quelle parolacce nemmeno esistevano. Insomma, va bene romanzare, ma neanche storpiare così un personaggio che tanto bene ha fatto alla storia dell’emancipazione femminile. Mi sembra davvero ingeneroso e del tutto opposto al senso che la mia lontana prozia ha voluto dare alla sua esistenza“.

Marilena Jahier Togliatto ha poi snocciolato altre inesattezze riscontrate nella serie. Oltre alla caratterizzazione per niente fedele di Lidia Poët, contesta alcuni aspetti della ricostruzione storica effettuata nello show: “Lei non ha mai vissuto in un villone a Torino. Abitava a Pinerolo, in una casa storica del centro, sopra i portici. Che bisogno c’era di stravolgere la storia? Sarebbe stata già abbastanza avventurosa restando fedeli alla realtà. Neanche il fratello di Lidia era sposato, mentre nella serie ha una moglie. Loro due vivevano soli con la servitù, erano una famiglia molto agiata ed entrambi pensavano solo ed esclusivamente al lavoro“.

Non ci sono notizie di una eventuale seconda stagione della fiction.

Chi era Lidia Poët 

Nata a Traverse, piccolo centro attualmente frazione di Perrero in Val Germanasca (To)  il 26 agosto 1855, apparteneva a un’agiata famiglia valdese ben radicata in val Germanasca. Il bisnonno Matthieu fu un’armigero dell’esercito sabaudo, il padre Giovanni Piero fu sindaco di Perrero per molti anni.
Lidia, benché orfana, dopo aver  frequentato il  nel collegio svizzero di Aubonne, e aver conseguito la patente di maestra (1871), decise di studiare Giurisprudenza, laureandosi con una tesi sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale. . Benché avesse tutte le carte in regola per ottenere l’iscrizione all’Albo degli avvocati, avendo superato tutte le prove stabilite dalla legge, la Corte di Cassazione respinse il suo ricorso ed emise una sentenza che confermava il provvedimento di cancellazione emesso dalla Corte d’Appello. Le fu pertanto impedito di esercitare in quanto donna.
Ciò nonostante lavorò nello studio legale del fratello dove esercitò ugualmente la professione benché non in modo ufficiale.
Per tutta la vota non si arrese e dedicò  il suo impegno alla rivendicazione dei diritti di chi non aveva voce: i minori, le donne e i detenuti. Frequentò le platee dei Congressi Penitenziari Internazionali dove ottenne  stima e riconoscimenti  affrontando più volte la questione della giusta pena. Grazie anche al suo operato nacquero i tribunali dei minorenne il cui fine passò dall’infliggere la pena al recupero e al reinserimento nella società.

Nel suo impegno a favore della “causa femminile”, redasse atti  e tenne conferenze in molti Congressi Femminili  dove guidò le battaglie per ottenere la piena emancipazione femminile,  la parità tra i generi ed il diritto di voto. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale scelse ancora l’impegno: diventò Infermiera Volontaria nel corpo della CRI.

Riuscì ad iscriversi all’Ordine degli Avvocati di Torino solo nel 1920. Fu presidentessa del Comitato Pro voto di Torino a partire dal 1922. Trascorre gli ultimi anni della sua vita a Diano Marina dove morì a 94 anni il 25 febbraio 1949. Venne sepolta nel cimitero di San Martino di Perrero.

Piero Abrate

Piero Abrate

Giornalista professionista, è direttore responsabile di Piemonte Top News. In passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. E’ stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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