Chi era la mitica maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria: Eugenia Barruero
A Torino, in largo Montebello al civico 38, una targa ricorda l’insegnante a cui Edmondo De Amicis si ispirò per creare l’indimenticabile personaggio del suo libro Cuore
“…La maestrina della prima inferiore, giovane e col viso color di rosa, ha due belle pozzette nelle guance, e porta sempre una gran penna rossa sul cappellino ed una crocetta di vetro giallo appesa al collo. È sempre allegra, sorride sempre, ed ha una voce argentina che par che canti, quando grida e picchia la bacchetta sul tavolino e batte le mani per impor silenzio; poi quando escono, corre come una bambina dietro all’uno e all’altro, per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell’altro abbottona il cappotto perché non infreddino, li segue fin nella strada perché non s’accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa, porta delle pastiglie a quei che han la tosse, impresta il suo manicotto a quelli che han freddo; ed è tormentata continuamente dai più piccoli che le fanno carezze e le chiedon dei baci tirandola pel velo e per la mantiglia; ma essa li lascia fare e li bacia tutti, ridendo, e ogni giorno ritorna a casa arruffata e sgolata, tutta ansante e tutta contenta, con le sue belle pozzette e la sua penna rossa…”.
Così Edmondo De Amicis fa scrivere a Enrico Bottini sul suo diario, il diligente scolaro dell’ultimo anno della terza classe del libro Cuore, per fornirci un realistico ritratto poetico e delicato di Giuseppina Eugenia Barruero, la maestrina dalla penna rossa, tipico personaggio della Torino umbertina di fine Ottocento.
Se riaprissimo quel libro un po’ sdrucito e ingiallito, con le pagine che sprigionano un odore stantio di soffitta, ancor oggi ci assalirebbe la nostalgia di certe deliziose letture nelle quali eravamo assorti da ragazzi nei pomeriggi d’inverno, il cui ricordo rievoca tante care figure mai dimenticate. Così, accanto alla maestrina dalla penna rossa, ci sovverrebbe il ricordo del maestro Perboni, con la sua ruga in mezzo alla fronte, e che non sorrideva mai. Oppure del severo maestro Coatti, dalla barba folta e nera: quello che con la voce da leone spaventava tutti gli scolari, ma non castigava mai nessuno.
La maestra Delcati, con il suo fisico esile, da suorina. O la maestra Cromi, quella più anziana. Ma soprattutto ci ricorderemmo di Garrone, quel ragazzo che per la sua corporatura robusta era più simile ad un piccolo toro che a uno scolaro: spalle larghe e testa grossa, un po’ orso, ma forse il più buono di tutti. Di Coretti, figlio di un commerciante di legna, ricorderemmo la maglia color cioccolata, e il sorriso allegro che rivelava una dentatura smagliante: stava sempre col cappello di pelo di gatto sul capo. E Nelli, lo ricordate? Era piccolino, fragile, un po’ gobbo. E ritroveremmo Votini, sempre elegante, ma un po’ geloso di Derossi. Derossi, appunto, il primo della classe, ricciolino, biondo, bello, alto, intelligente. E poi, Toni Rabucco, il muratorino dal faccino rotondo, così bravo a fare il muso di lepre; e Garoffi, lungo e magro: era figlio di un droghiere, collezionava francobolli ed aveva un curioso naso a becco di civetta.
E c’era pure quel pallone gonfiato di Carlo Nobis, il prototipo del superbo. E Precossi, alto come un soldo di cacio, pallido, sempre serio e triste (suo padre, un fabbro, lo picchiava spesso quand’era ubriaco). E Crossi, dai capelli rossi e con il braccino offeso legato al collo: suo padre aveva scontato sei anni di prigione, e la madre faceva la verduriera. Poi Stardi, piccolo bibliofilo, tracagnotto, un po’ musone, che non disdegnava di tirare calci, proprio come un mulo, a chi gli stava antipatico. E infine, Franti, sfrontato e irridente.
Quanti ricordi. Quanta poesia. Il libro Cuore è come un’artistica stampa in bianco e nero, ma tridimensionale, che riflette in modo impeccabile lo stile di vita torinese a vent’anni dall’Unità d’Italia, in una Torino che sta ancora elaborando il lutto della perdita del ruolo di capitale, ma che sta già coltivando la propria vocazione industriale.
Fu il 17 ottobre 1886, primo giorno di scuola, che l’editore Treves fece uscire il libro Cuore. La pubblicazione ebbe subito uno strepitoso successo, tant’è che in pochi mesi si superarono le quaranta edizioni e ne furono effettuate traduzioni in decine di lingue. Un libro intriso di spunti morali attorno ai miti del Risorgimento italiano, ma che fu criticato dai cattolici perché nel corso dell’anno scolastico in cui si sviluppa la trama del libro (1881-1882) non si faceva mai riferimento alle feste religiose (i bambini di Cuore non festeggiano nemmeno il Natale!), specchio delle aspre controversie tra il Regno d’Italia e papa Pio IX dopo la presa di Roma. Per scrivere il suo romanzo più famoso, Edmondo De Amicis si ispirò alla vita scolastica dei figli Ugo e Furio.
diretto dal 1949 dall’avvocato torinese Bruno Segre
La vera maestrina dalla penna rossa, la signorina Barruero, che ispirò il tenero personaggio di De Amicis abitava in quello che oggi chiamiamo Largo Montebello, ma che fino a metà Ottocento era per tutti Piazza San Luca: una piazza circolare (unica nella sua struttura a Torino) che nel progetto originario avrebbe dovuto essere porticata, e costituisce un armonico ed intimo spazio, con tanto di giardino, sulla bisettrice di Via Santa Giulia (un tempo chiamata via San Luca).
Per ricordare questo tenero personaggio, ispirato ad una maestra torinese davvero esistita, fin dal 1985, sulla facciata del palazzo del civico 38 di largo Montebello, dove abitava la vera maestrina dalla penna rossa, è stata apposta una targa in ottone, con l’epigrafe incisa in caratteri corsivi blu e rossi, proprio come scrivevano le maestre dell’epoca.
Sergio Donna