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Bellezza e ricchezza della lingua piemontese: gli opposti di “genit”

Tra le molte parole intriganti della lingua piemontese ce n’è una bellissima che non trova un preciso equivalente in altri idiomi o dialetti. È l’aggettivo “genit”, con le varianti gënit o ginit, riscontrabili qua e là nelle varie sfumature dialettali delle parlate regionali del Piemonte.

È una parola piana, e l’accento tonico cade sulla seconda sillaba. Significa schietto, spontaneo, genuino, autentico, vero. Al femminile, diventa genita, o gënita, o ginita. Così, una lenga genita è la lingua madre, quella in cui si parla e si pensa istintivamente. Na përson-a genita è una persona schietta, sincera. Un vin genit è un vino onesto, sincero.

Ma c’è un però. Quell’aggettivo gentile, di per sé garante di schiettezza e di spontaneità, potrebbe anche essere abbinato a un sostantivo o a un’espressione di senso negativo, e allora – quasi in funzione di ossimoro – ne moltiplica esponenzialmente l’incisività del significato riprovevole. Facciamo qualche esempio: chila-lì a l’é na monia quacia genita, che significa: “quella è un’autentica acqua cheta”, o meglio, un’ipocrita. L’aggiunta dell’aggettivo esalta la negatività del concetto. Oppure, col-lì a l’é na carògna gënita, che sta per “quello è una carogna autentica, cioè matricolata e impenitente”: da certi individui, meglio tenersi a debita distanza.

Crescendo di volta in volta di registro si può arrivare al peggio, come nell’espressione na genita merda montascagn, di cui non sto a  tradurre la prima parte, che è di evidente significato. Montascagn (letteralmente chi sale su un scanno o sgabello) è un termine dal significato metaforico, che si addice a chi vuol salire in cattedra e imporsi, millantando delle capacità di cui non dispone. Inutile dire che se capitasse di sentire qualcuno proferire questo epiteto (sperando che non si riferisca a noi), lo sta facendo sicuramente in tono spregiativo. E molto. Pronunciarlo è sprezzante; riceverlo è umiliante.

Ancora due parole sull’etimo del termine genit, aggettivo che – come si è visto – può presentarsi con una doppia faccia, come Giano.L’etimologia del termine è incerta: nel senso ampiamente descritto, appunto di puro, schietto, genit potrebbe derivare dal greco ghennicós, che significa “di buona stirpe”. Anche la discendenza dal latino è sostenibile: si tratterebbe di una derivazione  dal latino gĕnus (genere). Bellezza e ricchezza di nuances espressive di una lingua che dobbiamo mantenere viva, conservare e tramandare ai posteri: il piemontese, la lingua della nostra storia e delle nostre radici, la nostra lenga genita.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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