a tennis giocavo scalzo, o meglio indossavo spessi calzettoni militari…
questa è la pubblicazione di una serie di racconti che rimandano al tempo passato. sono 12 +1. dodici come le ore (nell’ordine: la sveglia / l’uomo del plasmon / tra linee rette e curve / condor n. 5 / magellano / rai radiotelevisione italiana / bwv565 / italia ‘61/ 48-14 / la 500 da corsa / la racchetta di rod laver / il giro di sol) più uno dedicato all’orologio del minareto della moschea di testour (tn) dove questa idea di ritornare indietro nel tempo è nata. in ogni racconto è riportata una pagina di immagini che rimandano al testo e quella dell’oggetto/scultura con l’inserimento di un orologio dal movimento antiorario.
la racchetta di rod laver
forse tutto iniziò 1963 cumiana (ridente paese a due passi da torino), frazione monte grosso, campo da tennis del castello degli opessi. già. quando mi ritrovai coinvolto in una storia di riqualificazione territoriale. beh. questa è una terminologia di oggi. ieri si sarebbe detto togliere l’erba (erbacce) e spianare il terreno. dimensioni: quelle di un campo da tennis con qualche metro in più. non avevo mai praticato quel tipo di sport anche se ero discreto con la tradizionale racchetta da ping-pong. impugnata alla cinese. beh. allora pareva una bizzarria. poi i cinesi divennero i campioni del mondo. io rimasi con la medaglia di bronzo in parrocchia. vabbè. allora bisognava fare il grande passo verso lo sport che si stava affermando nella middle-class1.
era un passo obbligato per non essere tagliati fuori da gioco del “dentro-e-fuori” (in-and-out)2. la racchetta era una donnay. la marca di rod laver3. però la mia era firmata dal tennista belga jacques “jacky”brichant (1930-2011). boh. nella vita non si può avere tutto. nemmeno la consolazione di essere io più giovane di lui. anzi lo è lui di pochi mesi rispetto me. imparai molto. e persino in fretta. dall’iniziale servizio dall’alto che mi riusciva 1 volta su 10 passai al 2. sempre su 10. forse un po’ poco per accedere a una qualunque qualifica. ma comunque promettente. anche qui ricordo di aver lasciato una impronta per alcune caratteristiche insolite in questo gioco sulla terra rossa. non ho alcuna idea del mio rendimento sul green4 di winbledon.
è possibile così che alcuni miei comportamenti in campo possano essere motivo d’interesse per qualche tennista. preciso, inoltre, che di quanto si troverà esposto non c’è traccia nel mio manuale di riferimento5. vado ad esporli dopo la premessa che io giocavo quasi esclusivamente in coppia. non mista. la mia posizione in campo era sempre tale da coprire tutto il lungo rete. quindi il tradizionale schema delle due fasce d’intervento parallele all’asse del campo non era previsto. avevo sempre creduto che il mio compito fosse quello di intercettare qualsiasi palla lanciata dagli avversari rispondendo con la volée. mi riusciva raramente. però quando non colpivo la pallina avvisavo sempre il mio compagno affinché provvedesse lui a farlo. indicazione essenziale da dare (parole di risposta non riportate).
tra le note marginali, ma di colore, devo dire che io giocavo scalzo o meglio indossavo degli spessi calzettoni militari. credo che questo mi servisse a restare più a contatto con la realtà terrena. solo verso la fine della mia breve carriera tennistica passai alle classiche calzature bianche superga. questo avvenne quando in modo fortuito ebbi l’accesso allo spaccio (via verolengo angolo via orvieto) dove era possibile acquistare scarpe di seconda scelta con falle irrilevanti per un uno non ancora professionista. pur giocando su un terreno dignitoso (circolo tennis beinasco 1966), anche se non ancora prestigioso, non mi interessavo del tennis nostrano. era il tempo di nicola (pietrangeli) e la divina (lea pericoli). mah. però di lei ho ricordi più presenti. forse per via del suo disinvolto gonnellino. sì, seguivo di più i cosiddetti numero 1.
come rod lever. appunto. quando si sogna conviene farlo in grande. tanto costa lo stesso prezzo. se non ricordo male andai persino a vedere una sua esibizione a torino esposizioni. ricordo però bene che non imparai molto dal suo rovescio. e qui si chiude questo raccontare della mia storia con il tennis. infatti poco dopo lasciai la terra rossa non so per quale motivo. forse una delusione d’amore. ma non credo. nel vero sportivo il suo cuore batte sempre e solo per il gioco. più probabile che abbia ritenuto questo tipo di sport troppo borghese ai miei occhi sessantotteschi. in fondo io avevo sempre giocato con le palline recuperate. quelle spesso ormai senza il pelo attorno e a volte persino un po’ sgonfie. il rito di scegliere quella con quale battere il servizio non era ancora abituale. ma poco importava. mah. il mio abbandono di quei campi non provocò grandi rimpianti. soprattutto tra i compagni di doppio. quelli che giocavano sempre alle mie spalle.
1 Middle-class – In senso marxiano è la classe che sta al di sotto di quella dominante e al di sopra del proletariato.
2 Cfr. Daniel Bell in; AA.VV. L’industria della cultura – Bompiani – Milano 1969.
3 Rodney George Laver (1938), detto Rod, australiano, uno dei più grandi giocatori di tennis a livello mondiale di tutti i tempi.
4 Green – ing. verde. Nel linguaggio tennistico sta per campi in erba. Il più famoso è quello di Winbledon (GB).
5 Gianni Clerici – IL VERO TENNIS – ed. Longanesi.