ENOGASTRONOMIA

“Pan, bur e anciove”, il tris di sapori che conquistava anche i Cesari

Protagonista delle “marende sinòire” piemontesi, il “pane, burro e acciughe” ha una storia plurisecolare ed è un mix della tradizione culinaria ligure e subalpina

Sembra che il piemontesissimo pan, bur e anciove (pane, burro e acciughe) abbia come antenato un alimento nato casualmente duemila anni orsono, abbinando due ingredienti che andavano per la maggiore ai tempi dei Cesari: il burro dei Celti cispadani e il “garum” dei Latini, una salsa liquida a base di interiora di pesce fermentate e di pesce sotto sale, in prevalenza acciughe e altro pesce azzurro, che i Romani usavano regolarmente per insaporire le loro pietanze. Ci piace immaginare che fosse proprio un condottiero romano, in transito con l’esercito nella IX Regio romana, in quella parte che oggi chiamiamo basso Piemonte (magari a Pollentia, o ad Augusta Bagiennorum, o forse in Alba Pompeia), a rimanere deliziato dalla squisitezza del burro locale: spalmatolo su un tozzo di pane abbrustolito potrebbe avergli aggiunto qualche cucchiaio di quella salsa di pesce salato, condimento per palati avvezzi ai sapori forti. Il risultato fu sorprendente: il burro ne addolciva il sapore, lo rendeva più morbido e rotondo. Era stato creato ‒ quasi per caso ‒ un abbinamento delizioso, stuzzicante, ghiotto e appetitoso. Senza rendersene conto, era stata inventata la primordiale versione di quel pane, burro e acciughe che ancor oggi, per l’armonia di sapori che lo contraddistingue, sorprende e delizia i ghiottoni del terzo millennio.

Classiche tartine di burro e acciughe con pane casereccio

Certo, il pan, bur e anciove dei Romani (panem, butyrum et garum) era ancora qualcosa di grezzo e suscettibile di perfezionamenti e affinamenti. E in effetti esso si è evoluto nel tempo, sia nell’aspetto che nel sapore, prima di pervenire ai canoni organolettici con cui oggi noi lo conosciamo. La svolta si ebbe quando l’acciuga sotto-sale divenne un alimento base della cucina piemontese: i piemontesi ne scoprirono il pregio e la versatilità in cucina (bagna càuda docet!), e cominciarono a considerare l’acciuga un’ambita derrata alimentare, perché saporita e dal costo abbordabile. Le acciughe arrivavano in Piemonte a dorso di mulo, percorrendo gli impervi sentieri delle Alpi. Lungo le tortuose mulattiere della Via del Sale, giungevano in Piemonte anche olio e sale, mentre prodotti lanieri e cotonieri, e il vino rosso piemontese percorrevano in direzione del mare il percorso inverso.

Un piatto di acciuge crude

A questo punto capirete da soli che il gioco era fatto: le acciughe arrivavano dal mare, il burro era prodotto in casa, e il pane pure: la versione moderna del pan, bur e anciove era diventata realtà.

Del resto, che c’è di più semplice di questo alimento, composto da un trittico di componenti? Praticamente nulla: e tutti ci si può cimentare nel prepararne succulenti tartine.

Nonostante ciò, proponiamo al lettore una ricetta – diciamo così – ad abundantiam.

Pescato di acciughe

Iniziamo dal pane: se non avete tempo o pazienza di farlo in casa, va benissimo un buon pane rustico di campagna acquistato dal fornaio. Tagliatelo a fette di circa 1 centimetro di spessore e fatelo riscaldare appena nel tostapane.

Sulla fetta di pane ancora caldo spalmate un buon burro di latteria, e infine, adagiatevi sopra le Acciughe Sotto Sale del Mar Ligure IGP. Il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) garantisce che si tratta di acciughe pescate tra Ventimiglia e lo Spezzino, lavorate ancora artigianalmente, secondo la secolare tradizione locale:  sono in vendita in quasi tutti i centri costieri della Liguria, ma sono disponibili anche in molti supermercati del Piemonte.

Le acciughe liguri appartengono al genere Engraulis encrasicolus e vengono pescate con il metodo tradizionale della lampara (con reti a circuizione) ad una distanza massima di 20 km dalla costa: questa pesca è consentita solo nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 15 ottobre. La taglia massima di ogni acciuga è di 20 cm, mentre quella minima è di 12 cm. Una volta pescate, le acciughe devono essere sistemate dentro cassette di legno con una capacità di 10 kg di prodotto e devono essere lavorate entro le 12 ore dalla cattura. La stagionatura in salamoia dura tra i 40 e i 60 giorni. Finita la maturazione, le acciughe ‒ a strati intervallati da sale marino ‒ vengono disposte a raggiera in appositi barattoli di vetro, contenenti da un minimo  di 200 grammi ad un massimo di 3 kg di prodotto.

In Liguria, come in altre regioni italiane di mare, le acciughe vengono anche prodotte sott’olio e inscatolate.

Fritto di acciughe

Le acciughe liguri hanno una pelle molto sottile, di colore che varia dal rosa al bruno: i filetti devono aderire bene alla lisca e avere una consistenza morbida al tatto.

Crostini con burro e acciughe

Possono essere consumate in decine di maniere. Ma provatele con pane e burro piemontese. Capirete perché i subalpini vanno pazzi per il mitico “pan, bur e anciove”.

Sergio Donna

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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