Castelnuovo Calcea, il castello indistruttibile e il fantasma dell’uomo bruciato
Castelnuovo Calcea in provincia di Asti, chiamato anche Castelnuovo Brusà o brisò, a seconda dell’inflessione dialettale, ad indicare che il castello dal quale ha preso il nome è, appunto, bruciato, ha alle spalle una storia di cicliche sfortune. Una prima distruzione è avvenuta nel 1155 e anche se non si è certi del motivo, probabilmente legato alla discesa del Barbarossa, che proprio in quel periodo devastò anche Asti, mentre si recava a Pavia dove sarebbe stato incoronato re d’Italia in un clima di contestazione al quale aveva cercato di porre fine a modo suo. I tenaci cittadini, guidati dal marchese d’Incisa, una famiglia di origini antichissime, ricostruirono tutto e si apprestarono a ricominciare la solita vita contadina anche se una nuova catastrofe si sarebbe nuovamente presentata a distanza di un bel po’ di anni: nel 1635, grazie al comandante delle truppe del Duca di Savoia, che diede l’ordine di bruciare e radere al suolo l’intero villaggio, infatti, i contadini di Castelnuovo Calcea si ritrovarono a lasciare gli aratri per ricostruire nuovamente la cittadina colpita ancora una volta dal fato.
Ma non è finita qui, nel 1944 ci furono numerosi bombardamenti nella zona, che provocarono numerosi danni sia alle abitazioni della cittadina che al castello: la mamma di chi scrive questo articolo, la signora Anna Maria Zanon, seppur molto piccola, ricorda che la famiglia, dopo aver perso la casa, si era rifugiata per qualche tempo nel castello diroccato, l’unica struttura che poteva fornire un minimo di protezione a una madre con due figli piccoli e il marito in guerra. Purtroppo la struttura del castello non resse a lungo a quest’ultima sfida del destino e una mattina, improvvisamente, implose su se stesso, rischiando di uccidere Rina e suoi bambini, che sfuggirono fortunosamente al crollo e vennero poi accolti nel circolo parrocchiale dal parroco del paese, che si era preso a cuore la sorte dei piccoli.
La fine della guerra lasciò gravi strascichi economici e nessuno pensò a riedificare il castello, ci si concentrò piuttosto sulla città e sui problemi quotidiani e fu solo nel 1985 che finalmente si iniziò a parlare di ricostruzione, che puntualmente e abbastanza velocemente avvenne grazie all’acquisto da parte del Comune dell’area, in parte poi destinata a parco pubblico. Nel 1998 già si potevano visitare la cinta muraria e la torre di avvistamento, restaurate in modo impeccabile con un tocco di modernità che consente di utilizzare il sito per incontri, concerti ed eventi di vario genere.
Non è l’unico luogo visitabile attualmente, nella tenuta La Court, che occupa un terreno di venti ettari, è stato predisposto l’Art park la Court di Michele Chiarlo, un museo a cielo aperto dove “arte, paesaggio e vino dialogano ininterrottamente” e che stupisce per la sua contestualità: tra le vigne di Langhe, Roero e Monferrato, luoghi dichiarati nel 2014 Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, la land art stupisce per la sua collocazione inusitata. Progettata da Emanuele Luzzati, che qui ha esposto alcune sue opere, accoglie opere di Nespolo e di altri artisti locali e crea un paesaggio fantasy nel quale una delle panchine giganti di Chris Bangle spicca per altezza.
La visita al castello di Castelnuovo è in ogni caso indispensabile se si vuole visitare questa zona e anche per farsi un’idea della determinazione di una popolazione contadina, avvezza alla cattiva sorte ma dotata di forza infinita.
Il castrum novum di origine romana, luogo che ha accolto liguri, galli e celti, costruito probabilmente verso il 1140 come dipendenza della vicina Vinchio, consentiva di controllare il tratto di strada che portava ad Agliano, era probabilmente collocato sull’attuale Bric Castello, a ridosso dell’asse viario Asti-Nizza Monferrato-Acqui Terme e della valle nella quale scorre il torrente Nizza. E dopo le vicende che vi abbiamo raccontato, non vi stupirà sapere che, come ogni castello del Piemonte e non solo, anche quello di Castelnuovo ha un fantasma. Non è uno spettro di nobili natali, anzi, nessuno sa chi esattamente sia, ma nel passato erano molti a sostenere che nelle notti di luna piena un uomo insanguinato, con gli abiti stracciati e forse bruciati, si trascinasse tendendo una mano ai passanti attoniti, per poi scomparire nel nulla. Si tratta forse di un’anima perduta e costretta alla peregrinazione in terra, morto in seguito a una delle numerosi distruzioni di Castelnuovo Calcea? Le cronache recenti non ne portano traccia, ma se doveste incontrarlo, fate attenzione, e ricordate che oltre all’aglio, per allontanare gli spiriti, potete anche usare altre sostanze, ma non il vino, che invece li attrae…
Katia Bernacci