Asti, la mummia della Signora delle ninfee presto tornerà nella cripta di sant’Anastasio
Nel 1886 il famoso fotografo Secondo Pia, di nascita astigiana, che avrebbe qualche anno dopo fotografato per la prima volta il telo sindonico, constatando che se si osservava il negativo l’immagine risultava più nitida, immortalò la cripta del complesso di sant’Anastasio di Asti. Era appena stata scoperta, o meglio, prima di allora il suo utilizzo si era modificato varie volte, sino a diventare una cantina, come spesso succede con i sotterranei dei vecchi palazzi.
La storia del complesso era antica, nel Medioevo era già esistente e nel corso del ‘900 ha suscitato interesse il tentativo di comprendere come mai la chiesa, che sorgeva sulla via principale di Asti, dovesse il suo nome a un santo del Centro Italia, non diffuso in Piemonte.
Probabilmente il motivo era legato a Liutprando, re longobardo che percorse l’Italia durante una campagna militare volta all’unificazione della penisola ma prima ancora aveva portato a termine un pellegrinaggio sulla via Laurentia, una antica strada vicino a Roma che toccava alcune chiese dedicate a sant’Anastasio, come sosteneva Paolo Diacono, autore della Historia Langobardorum. E’ forse qui che aveva conosciuto sant’Anastasio, soldato convertito nel 600 e martire decapitato, decidendo di portare il suo culto a Pavia e Asti, città decisamente importanti in quell’epoca.
Alla chiesa edificata senza indugio, fece seguito un monastero femminile, che inglobò l’intera costruzione e come spesso succede nella storia, a periodi di grande benessere succedono momenti di declino, e questo avvenne anche al monastero, mentre si susseguivano nuove costruzioni, abbattimenti, riedificazioni e spostamenti, sino a Napoleone, che soppresse l’Ordine. La chiesa fece spazio a una scuola e tutti si erano ormai dimenticati di sant’Anastasio, anche se una cosa, un’unica cosa, immutata nel tempo, continuava ad esistere al di sotto del livello stradale, si tratta della cripta, vero gioiello medievale di Asti, attualmente diventata un museo intrigante e bellissimo, vetrina di un viaggio nel tempo che mostra in parte i resti del passato, come i capitelli romanici, o gli spezzoni di mura, la pavimentazione romana del foro di Hasta, le tombe in muratura longobarde.
Il percorso studiato dagli architetti museali lascia a bocca aperta, il loro lavoro è iniziato con le campagne di scavo degli anni dal 1995 al 1999 e non è difficile immaginare, dopo essere scesi di qualche gradino, come doveva essere questo luogo nascosto, creato per la preghiera, per la conservazione di reliquie e come dimora eterna dei defunti importanti.
Nel complesso museale di Asti presto tornerà anche la mummia della Signora delle ninfee, sarcofago acquistato ad inizio ‘900 da Ottolenghi, importante mecenate astigiano, che voleva dotare la sua amata città di un museo egizio. I lavori di ristrutturazione consentiranno di ospitare la mummia, attualmente conservata negli uffici del Protocollo del comune, non senza polemiche, in considerazione del fatto che nessuno può vedere uno dei sette sarcofagi al mondo decorati con motivi floreali. Negli anni scorsi alcuni esami specialistici, come la Tac, hanno consentito di approfondire il cold case della mummia, una giovane donna nata a Tebe, morta presumibilmente tra i 30 e i 35 anni. Ma chi era? Di lei si sa che aveva subito in vita un terribile incidente, che l’aveva privata di tutti i denti e aveva causato un trauma facciale visibile nel disassamento delle ossa del volto. Era stata curata, ma probabilmente il suo viso era rimasto danneggiato.
Chissa cosa avrebbe pensato la giovane egiziana, se avesse saputo cosa le sarebbe successo nel futuro? Qualcuno dice che la tebana ha viaggiato più da morta che da viva, quindi speriamo che presto riesca ad avere un po’ di pace, magari nella cripta che attira così tanti visitatori
Katia Bernacci
(foto: Marino Olivieri ph)