Alla scoperta di massi erratici: la Pera Mòra di Pianezza
PIANEZZA. Fa specie parlarne in un’epoca in cui il surriscaldamento del pianeta ha ormai toccato livelli che sono al limite della vivibilità di ogni specie vivente. Eppure, in un tempo assai lontano, i ghiacciai erano scesi dalle Alpi fin quasi a lambire l’attuale Torino. Ne sono testimonianza le decine di massi erratici, blocchi di roccia compatta e granitica, come perle di una titanica collana, che ancora circondano la città: frammenti mastodontici di pietra, trascinati dal ghiaccio a valle, fin quasi alla confluenza della Dora nel Po. E non c’è neppure troppo da stupirsi di questi ciclopici reperti monolitici, se pensiamo che 400 mila anni fa tutta la Val di Susa era sommersa dai ghiacci che in certi punti misuravano uno spessore di ben 600 metri. L’ultima glaciazione si esaurì poco meno di diecimila anni prima di Cristo.
Uno di questi impressionanti reperti risalenti al quaternario è sicuramente la cosiddetta Pera Mòra, ovvero la pietra scura: così ancora la chiamano gli anziani abitanti di Pianezza. Oggi è più conosciuta come Masso Gastaldi, in onore del geologo e naturalista che per primo ne intuì e teorizzò l’origine. Questa strana, inquietante protuberanza, che fuoriesce dal piano stradale come un gigantesco foruncolo di roccia scura, oggi è pressoché inglobato nell’antico abitato di Pianezza. Il suo aspetto è diventato familiare e persino rassicurante per chi ci abita vicino, ma deve aver non poco suggestionato, di ammirazione e sconcerto, le prime popolazioni celtiche del luogo.
La Pera Mòra, e in particolare la sua vetta, ha molto probabilmente rappresentato un sito sacro del culto druidico. In epoca cristiana, sulla sommità del Masso, venne posizionata una cappella dedicata a San Michele Arcangelo, con una piccola balconata, da cui si può ammirare un incomparabile ed esteso panorama. Di questa minuscola cappella non resta che un tempietto sconsacrato. Di un certo interesse botanico, è anche la flora rupicola, in parte spontanea, che dà vita a un giardino roccioso intorno alla rocca.
In conseguenza di una graduale e poco opportuna urbanizzazione, il Masso Gastaldi risulta ai nostri giorni pressoché seminascosto tra le case del paese. E per ammirarlo nella sua sconcertante imponenza, bisogna arrivare praticamente alle sue falde. Peccato, perché questo monumento litico naturale, di grande interesse geologico, meriterebbe una maggiore visibilità e più ampi spazi intorno. Ma tant’è. La Sezione CAI di Pianezza ne cura le visite, la manutenzione e l’utilizzo della palestra naturale di roccia attrezzata per la scuola d’alpinismo, ricava su una sua parete, alta una quindicina di metri.
Alla cima terrazzata del Masso, si accede attraverso una scalinata (normalmente chiusa da un cancello) scavata nella roccia. Lo stesso percorso per salire alla cima, per raggiungere un’ottima postazione di avvistamento delle truppe nemiche, venne utilizzato dal duca Vittorio Amedeo II di Savoia e da suo cugino il Principe Eugenio (comandante dell’esercito austro-piemontese) alla vigilia della grande battaglia di Torino che avrebbe segnato, dopo 114 giorni, la fine dell’assedio francese del 1706.
Il “Ròch” è un blocco di eufotide, roccia basaltica intrusiva, distaccatosi dalla parete di un monte e precipitato sul ghiacciaio, che lo ha trascinato lentamente a valle dalle ultime pendici della Valle di Susa. Misura 26 metri di lunghezza, 16 di larghezza e 14 in altezza. Ha un perimetro di 65 metri e un volume di circa duemila metri cubi di roccia.
A metà Ottocento, molto vivace si rivelò la disputa accademica sull’origine dei massi erratici. Non mancava chi riteneva che la loro origine risaliva all’epoca biblica del Diluvio universale (i cosiddetti diluvionisti); chi sosteneva che fossero stati portati a valle da impetuosi torrenti (torrentisti); e chi, come Bartolomeo Gastaldi, cui il masso è stato dedicato nel 1884, ne sosteneva invece l’origine glaciale (tesi oggi condivisa da tutti i geologi). Forniamo, per concludere, qualche utile indicazione per chi volesse accedere al Masso di Pianezza: lo si può raggiungere a piedi in pochi minuti dal centro di Pianezza, seguendo le indicazioni o percorrendo via Maiolo o via Gariglietti. Per salire alla cima, ci si può rivolgere alla già citata sezione CAI di Pianezza, oppure all’Ufficio Cultura del Comune (tel. 011-9670204). L’autobus della linea GTT 32 collega Pianezza a Torino.
Sergio Donna