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A spasso nel tempo sui campi da bocce di piole e circoli torinesi

TORINO. Le bocce, quando la piòla disponeva di uno o più campi, erano le regine dell’attività ludica all’aperto: un gioco che riuniva molti appassionati, per poi perdere praticanti ed eco nel corso del tempo, contrassegnato dal falso luogo comune secondo il quale sarebbe un gioco per vecchi. Su questo tema si potrebbe discutere, ma in fondo non è così importante, poiché le bocce sono di fatto una filosofia di vita: chi non le pratica non può capirlo. Ci fu un tempo in cui le bocce erano una grande attrattiva, attiravano molto pubblico: vi erano i campioni ammirati e celebrati. Ma erano anni in cui non c’era la televisione i mass media erano meno invasi di quelli attuali. Altri tempi appunto.

Comunque i giochi da bocce erano annessi alle piòle per così dire standard e poi a quelle che di fatto erano dette “bocciofile” in cui l’essenza piolesca si amalgamava a quella della società del mutuo soccorso e del dopolavoro: insomma un’ibridazione che non è facile descrivere a parole, poiché era fatta di atmosfere e di persone appartenenti a un mondo perduto, o comunque radicalmente cambiato.

Tra le bocciofile storiche ricordiamo quella in strada del Fortino, fondata nel 1922, con la tipica impronta liberty aveva, sul lato rivolto verso strada del Fortino la scritta “Giuoco bocce”, oggi è stata restaurata ed è un complesso sportivo boccistico a livello Internazionale. Ancora attivo il “Circolo Ricreativo Mossetto”, creato nel 1947 da Giovanni Mossetto con la funzione di circolo ricreativo “Ferrovieri Torino Nord”, si trova in lungo Dora Agrigento 16.

Presente dal 1887 in via Porri 7, la “Società Operaia di Mutuo Soccorso Barriera Vanchiglia” è ancora molto attiva oggi, oltre alle bocce, si gioca a biliardo e a pinnacola; si organizzano anche serate danzanti allietate da una cucina a conduzione familiare.

Adagiata tra corso Casale e il viale Michelotti, “La Piemonte” vide la luce nel 1907: con i suoi otto campi di bocce è parte integrante della storia del quartiere Madonna del Pilone. Stessa cosa si può dire del “Gruppo Bocciofilo Madonna del Pilone” situato in viale Michelotti 102 e sorto nel 1922. Numerosi i campi da bocce: tanti anni fa su quelle lisce superfici, sempre ripassate da un pesante rullo di cemento alla fine di ogni gara, si misurano grandi campioni, come il mitico Otello Pellegrini, nostrano Guglielmo Tell, capace di togliere una boccia posta su un vassoio collocato sulla testa di un coraggioso collaboratore posto a una trentina di metri dal lanciatore.

Sempre in viale Michelotti (numero civico 290) si trova “La Familiare”, situata sul lato opposto della confluenza tra Po e Dora, nei pressi del cimitero di Sassi. Si può giocare a bocce nei mesi estivi, mentre a carte si gioca tutti i giorni. La “Bocciofila Vanchiglietta” in lungo Dora Colletta 39/a vide la luce nel 1945 e ha sede sulla sponda della Dora Riparia, adagiata nel verde paesaggio offerto dal parco Crescenzio. Di qualche anno più giovane (1948) la “Società Amatori Bocce Sassi”, situata in strada al Traforo di Pino 20, praticamente a due passi dalla tranvia per Superga: il suo nome spetta nell’albo d’oro delle bocce: infatti è stella di bronzo al merito sportivo e si è aggiudicata quattordici titoli ai campionati italiani. Dispone di otto campi di cui due coperti.

Fondata nel 1911 in corso Chieri 124, la “Società di Mutuo Soccorso Unione Familiare di Reaglie”, dagli anni Novanta è attiva la licenza per la somministrazione di cibo e bevande non solo per i soci ma anche per il pubblico. Ricordiamo anche i più giovani gli “Amici del Baracot” in via Buscalioni 21 e il “Bocciodromo Crescenzio” in lungo Dora Colletta 53, qui in quella che fu la piazza d’armi di Vanchiglia, con molte “casermette” per il ricovero dei soldati e delle armi, nelle ex- strutture militari è stato realizzato un bocciodromo con otto campi al coperto e quattro da petanque, più sei esterni a libero accesso.

Quanto trapela dalle fonti disponibili è che il gioco delle bocce era fisiologicamente associato alla piòla; meno facile risalire alla sua origine: sappiamo che era praticato su strade, piazze e greto dei fiumi. Sembra che la patria di questo gioco sia la Turchia: risalgono infatti a circa settemila anni prima di Cristo alcune sfere di pietre rinvenute in una tomba e che gli archeologi ritengono si tratti appunto di oggetti da legare al nostrano gioco delle bocce. Le prime bocce erano di legno, le migliori quelle di quebracho: ottenuto con la lavorazione del legname proveniente da piante di varie famiglie.

Quando, agli inizi del Novecento, fu creato il primo regolamento del “Giuoco bocce” si giunse anche alla realizzazione delle prime role di metallo e poi le cosiddette “sintetiche”: le prime dal 1925 e le altre dal 1929, ottenute con un impasto di segatura e colla. Ma l’apoteosi fu raggiunta con le bocce in lega, ritenute dagli esperti la migliore soluzione per ottenere risultati di elevato livello.

Archeologia a parte, quanto è evidente alla maggior parte di noi alle soglie dell’anzianità, è che le bocce hanno rappresentano una di quelle forme di aggregazione legate a un passato che non c’è più: per carità il gioco esiste ancora ed è praticato, con tanto di classifiche e campionati, ma non c’è più quell’ambiente caratterizzato da una scenografia unica. I campi battuti circondati da reti sulle quali si appoggiavano spesso gli osservatori/commentatori; oppure servivano per a appendere camicie e camiciotti: perché a bocce si giocava spesso in canottiera. Ai lati più corti del campo grandi segnapunti e scaffaletti di legno sui quali vassoi di metallo accoglievano bûte, bicchieri e portacenere. In genere vi era un brusio costante, senza picchi: solo quando qualcuno compiva una piccola prodezza con un bel lancio, con un tre al truc e una bocciata da manuale, il livello dei decibel si alzava e partiva la sequela dei commenti.

Massimo Centini

Classe 1955, laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri. Tra le attività più recenti: al Museo di Scienze Naturali di Bergamo; ha insegnato Antropologia Culturale all’Istituto di design di Bolzano. Docente di Antropologia culturale presso la Fondazione Università Popolare di Torino e al MUA (Movimento Universitario Altoatesino) di Bolzano. Numerosi i suoi libri pubblicati in italiano e in varie lingue.

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