A spasso nella storia: il Caffè Fiorio, ritrovo prediletto dagli intellettuali dell’Ottocento
TORINO. «Tra piazza Castello e piazza Vittorio Veneto, sotto i portici di via Po, un locale famoso tanto per i gelati che per le frequentazioni di politici, diplomatici e aristocratici. Soprannominato già nel tardo Settecento “caffè dei codini e dei macchiavellici”, è frequentato dai personaggi che guideranno il risorgimento italiano: Santorre di Santarosa, Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Rattazzi, Lamarmora. […] Tale è la credibilità del locale che re Carlo Alberto, per riuscire ad avere un’opinione chgiara degli umori e dei fermenti che attraversano la sua città, si informa tutte le mattine sulle voci che circolano tra i tavolini del Fiorio», scrivono Soletti e Toscani in quella che, a nostro parere, è una perfetta rappresentazione di uno dei caffè storici di Torino. Un ambiente austero su due piani e un ingresso in stile liberty riconoscibile tra migliaia; appena entrati, spiccano i due banconi semicircolari in marmo di Siena, sormontati alle spalle dagli ampi specchi e della colorata liquoreria; tappezzeria a fiori, morbidi tendaggi e vetri policromi: entrare da Fiorio è come entrare in un luogo d’altri tempi e quasi sembra di poterlo vedere, Camillo Benso Conte di Cavour, quando in quel lontano 1821 fondava tra quelle salette il circolo del Whist.
Inaugurato nel 1780 nella Contrada di Po, l’elegante Caffè di cui stiamo parlando ebbe fin dall’inizio una frequentazione di tutto rispetto, principalmente aristocratici e alti ufficiali, che in contrapposizione allo scomparso Caffè Calosso di via Dora Grossa ne facevano un vero e proprio ricettacolo di ferventi rivoluzionari e patrioti. Non a caso, infatti, la nomea di «Caffè dei Machiavelli» o «Caffè dei Codini»! «Di nobilitade emporio/ chiuso alla plebe vile/ risplende il caffè Fiorio/ che in sua grandezza umile/ solo ornamenti apprezza/ del tempo di Noè:/ evviva la bellezza/ del nobile Caffè», la fama del Fiorio crebbe nel tempo, finendo per essere frequentato anche dalla borghesia dell’epoca e segnando un progressivo distacco dell’aristocratica clientela abituale; si dovrà aspettare la fine dell’Ottocento perché il caffè torni ad essere un punto d’incontro per i grandi intellettuali dell’epoca.
Non solo politici: al caffè convenivano personalità di tutti i tipi, anche letterati e poeti; impossibile non ricordare Giovanni Prati, uno degli ultimi romantici, aperto al verismo, conosciuto principalmente per la sua Edmengarda, che segnerà un momento cruciale della poesia italiana dell’Ottocento.
Rinomato per le sue miscele di caffè, i tramezzini e la produzione di gelato artigianale, Fiorio ha fatto di quest’ultimo elemento il fiore all’occhiello dei suoi menù: in quegli anni ’30 di fermento culturale, di cinema che muovono i loro primi passi nella città di Torino, sotto la gestione della famiglia Sodano il cono da passeggio di quel caffè superò le barriere culturali del tempo, imponendosi come moda per gli uomini e le donne dell’epoca.
Tra chiusure e riaperture, momenti difficili e cambi di gestione, il Caffè Fiorio è ancora lì, in via Po, 8/C, in centro a Torino, ancora oggi attivo nonostante le grandi difficoltà dell’ultimo periodo. L’ultima riapertura è avvenuta non troppo tempo fa, con un totale cambio di gestione e una precisa voglia di rinnovarsi e al contempo mantenere un legame con le tradizioni storiche del locale.
Mirco Spadaro