Lingua & tradizioni piemontesiΩ Primo Piano

“Ij di dla merla”, perché si chiamano così e… sono davvero i più freddi?

I piemontesi li chiamano “Ij di dla merla”, ma non c’è regione italiana, al di qua o al di là del Po, in cui gli ultimi tre giorni di gennaio non vengano chiamati con un’analoga locuzione. Ma perché sono chiamati così?

Abbiamo nominato il Po, e forse una ragione c’è. Secondo una particolare interpretazione, l’espressione idiomatica sarebbe stata forgiata nei primi anni del Settecento, in ambito militare, allorché alcuni genieri del Ducato di Savoia riuscirono a trasportare un cannone a lunga gittata, chiamato la Merla, da una all’altra sponda del Po, approfittando di una memorabile gelata.

Un merlo femmina

Secondo altri, l’espressione deriva semplicemente dall’osservazione della marcata differenza del piumaggio dei merli maschi rispetto a quello delle femmine: decisamente corvina la livrea maschile, mentre quella delle merle volge ad un colore più chiaro, tra il grigio ed il tortora.

La fantasia popolare a volte si scatena osservando la Natura: da sempre l’uomo ha cercato di inventarsi un perché di fronte alle sue meraviglie, e alle sue affascinanti bizzarrie.

La locuzione troverebbe allora origine in quella leggenda secondo cui, negli ultimi giorni di un lontano mese di gennaio particolarmente rigido, una merla e i suoi merlotti, tutti con un piumaggio nero come la pece, per ripararsi dal gelo, avrebbero abbandonato il nido tra i rami, per trovare rifugio dentro un comignolo. Vi restarono tre giorni, fino al 1º febbraio successivo, ma tanto bastò: ne uscirono con la livrea ingrigita a causa della fuliggine e del fumo che li protesse, sì, dal freddo, ma pure li tinse di grigio, dalla punta del becco alla coda. Da quel giorno, tutti i merli femmina sarebbero stati rivestiti di un piumaggio grigio-marrone.

C’è anche una credenza popolare legata a questi giorni particolarmente rigidi: se i giorni della merla registrano temperature molto basse, allora la primavera li ricompenserà con giornate più tiepide e assolate; se invece il freddo nei Giorni della merla risulta clemente, allora l’Estate si prenderà una piccola rivincita, proponendo giornate meno torride.

Magari! – penserà qualche nostro lettore. In effetti, con l’inesorabile riscaldamento del pianeta, un’estate meno afosa ci sarebbe pure gradita. Ma si sa: le credenze popolari, i modi di dire e i proverbi, sopravvivono ai cambiamenti climatici, e in fondo ci piace pensare che ci raccontino la verità, che poi è quella in cui hanno sempre creduto le generazioni che ci hanno precedute su questo nostro pianeta, oggi malato.

Le statistiche meteorologiche relative agli ultimi decenni sembrano smentire il detto popolare secondo cui i Giorni della merla sarebbero i più rigidi dell’inverno: non ci sono infatti elementi e dati scientifici oggettivi che supportino questa credenza.

Ma cosa ci costa pensare che questo sia davvero il periodo più freddo dell’anno? In fondo, crederci, ci aiuta a sentire più prossima l’imminente primavera.

A completamento di questo articolo, a proposito di merli, propongo ai lettori una mia poesia, dedicata proprio ad una coppia di questi graziosi passeracei, che nei Giorni della merla, ogni anno, tornano puntualmente alla ribalta.

Scota col merlo, là, dzora la rama

Scota col merlo, là, dzora la rama,
là, su col òbi: che bel sentlo subié!
Le piume nèire al sol divento argent,
e sò bèch giàun a lus parèj ëd l’òr.
Varda pì an sù: j’é ’dcò la soa compagna…
Tërla dla gòj, la testa a fà babòja,
tra ij branch maròn e ij gich pen-a s-ciodù.
’T sente? Chila a-j rispond con un gasoj
pì svicio. E chiel a buta fòra un tril
aùss aùss. Fluta e violin, oboà,
cèmbal, clarin: orchestra d’armonìa…
e la natura antorn a-j deurb le fior.
Varda: a pijo ’l vòl… a son volasne via…
l’un tacà l’àutr, come doj spos d’amor.

Odi quel merlo, là, sopra quel ramo?

Odi quel merlo, là, sopra quel ramo?
Lo senti come canta sopra l’acero?
Le piume nere al sole, puro argento,
il becco giallo, un gioiello d’oro.
Un po’ più in su, c’è anche la compagna…
fa capolino, poi saltella allegra,
tra i rami punteggiati dalle gemme.
Lei gli fa eco con un cinguettio:
lui le fa eco con un trillo acuto.
Flauto e violino, oboe, clarino,
cembalo e liuto: orchestra d’armonia…
mentre di sotto, la Natura è in fiore.
Guarda: spiccano il volo, vanno via:
vibran le ali, unite nell’amore.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio