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Medaglia d’onore a 17 soldati internati dal ’43 in Germania

Diciassette militari italiani internati in Germania sono stati  ricordati e premiati con la medaglia d’onore del Presidente della Repubblica alla Scuola d’Applicazione d’Arma di Torino, unitamente ad altri cittadini italiani che si sono distinti nella loro attività culturale e  professionale o per il loro impegno nel sociale

TORINO. Recentemente si è tenuta alla Scuola d’Applicazione d’Arma di Via dell’Arsenale angolo Via dell’Arcivescovado, a Torino, una solenne cerimonia per premiare, tra gli altri, con una medaglia d’onore alla memoria, diciassette soldati IMI, internati in Germania e in Polonia dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943.

Furono dei “soldati d’onore”, che avrebbero potuto rinunciare ad un pesante e massacrante periodo di internamento nei Lager nazisti, se solo avessero accolto l’ ”invito” ad arruolarsi negli Eserciti germanici e dell’effimera Repubblica Sociale Italiana. Ma non lo fecero, restando fedeli ad un ferreo ideale di democrazia. Furono 650.000 i soldati italiani, di ogni ordine e grado, appartenenti a tutte le Armate, ad essere deportati nei campi di internamento nazisti. La maggior parte furono catturati nei Balcani (soprattutto in Dalmazia, in Grecia e in Albania); altri, appartenenti alla IV Armata, furono catturati in Francia; molti di essi furono catturati sul territorio italiano, mentre tentavano di raggiungere le loro città di residenza civile. Le unità navali della Marina Italiana riuscirono a convergere quasi tutte a Malta, e si misero subito a disposizione degli Alleati. Una sorte meno favorevole toccò alle truppe dell’Aviazione, in gran parte concentrate in Sardegna: il 50% degli Avieri fu coinvolto nella cattura da parte dei Tedeschi; gli altri si schierarono con gli Alleati. Per quanto riguarda l’Esercito, invece, fu una rotta totale: 1.700.000 di soldati si ritrovarono allo sbando, facilmente identificabili perché indossavano indumenti militari: di essi un milione fu catturato dai Tedeschi.  Solo 150.000 di essi accettarono di arruolarsi nelle truppe della Repubblica di Salò, istituita il 23 settembre 1943, o tra le file dell’Esercito germanico; molti altri riuscirono a fuggire e ad unirsi ai militari che già si erano dati alla macchia, unendosi alle forze partigiane. Dei 650.000 soldati italiani che furono trasferiti nei Lager nazisti (ad Braunschweigh, Dresden, e tanti altri ancora), 50.000 di essi non fecero mai più ritorno in patria.

Per quasi 65 anni, venne steso il silenzio sulla terribile esperienza personale di questi militari. La loro detenzione non finì con il crollo della Germania, ma si protrasse fino ad agosto e settembre del 1945, con un peregrinare da una campo all’altro, in attesa che i liberatori americani, inglesi, canadesi e russi organizzassero il loro ritorno. In genere, il rientro avvenne avventurosamente su carri merci o carri bestiame: i convogli, per evitare le tratte di strada ferrata distrutta dai danni della guerra, dovevano spesso effettuare giri viziosi di migliaia di chilometri attraverso l’Europa.

Dopo anni di silenzio, gli IMI (Internati Militari Italiani) ora vengono ufficialmente ricordati nel giorno della Memoria (il 27 Gennaio di ogni anno) unitamente alle vittime della Shoah, ed il 2 Giugno (festa della Repubblica).

Una legge del 2006 ha stabilito che ai reduci dai campi di concentramento (o ai loro eredi) venisse concessa in ricordo una medaglia d’onore, che può essere richiesta direttamente alla Presidenza del Consiglio, oppure per il tramite dell’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia (ANRP), che gestisce e detiene l’Albo degli Internati Militari Italiani e può fornire la necessaria modulistica. Una cerimonia che ha avuto anche il valore di un monito.

Il ricordo delle centinaia di migliaia di Italiani fatti schiavi da Hitler è un doveroso riconoscimento storico del loro eroico sacrificio, per troppi anni tenuto nell’oblio. Ancora risuona, ai giorni nostri, quel coro di 650.000 no al Nazismo e alla Dittatura di altrettanti soldati italiani, e noi dobbiamo dare memoria e onore a quelle eroiche voci, per evitare che certi soprusi e certe brutture possano ripetersi in un futuro prossimo o lontano.

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