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Maltrattamenti in asilo, in carcere finiscono madre e figlia

TORINO. La polizia ha arrestato due donne, accusate di maltrattamenti su bambini dai 3 mesi ai tre anni. Le indagini hanno appurato che madre e figlia, titolari di un nido di famiglia, avevano allestito in una mansarda, senza riscaldamento, un asilo nido privato. Le maestre accoglievano un numero di bambini superiore a quello stabilito, lasciandoli piangere intere ore per la fame o per il sonno. I bambini venivano nutriti in maniera non adeguata e contraria alle norme igienico-sanitarie. Secondo l’accusa, le due donne evitavano di cambiarli e lavarli, impedendo loro di dormire. Ma li esponevano anche alle fredde temperature invernali portandoli con sè a fare commissioni. In alcuni casi, per punizione, li chiudevano in una stanza da soli.

In carcere sono finite T.S. e M.F.: le accuse nei loro confronti sono quelle di maltrattamenti continuati in concorso, aggravati dalla minore età delle vittime è l’accusa nei loro confronti contestata dalla Procura di Torino Gruppo Fasce Deboli, che ha coordinato le indagini della polizia. Dallo scorso novembre, la Squadra Mobile della Questura di Torino ha accertato – anche con il supporto di intercettazioni telefoniche – le gravissime irregolarità nella gestione dell’asilo nido.

“Il mio errore è stato quello di pensare ai bimbi del nido come se fossero i miei bambini”: si è difesa così una delle due maestre, mamma e figlia titolari di un nido famiglia di Torino, arrestate dalla polizia per maltrattamenti sui bambini.

“La mia assistita ha ammesso alcune situazioni che non erano perfettamente compatibili con un nido, ma ben lontani dall’essere qualificabili con maltrattamenti – spiega il difensore della donna, l’avvocato Andrea Serlenza – Un esempio? Il fatto che non permettessero ai bambini di dormire alle 10 del mattino era semplicemente per abituarli a un corretto alternarsi di sonno e veglia”.

Le donne sono anche accusate di aver scambiato i ciucci o i cucchiaini tra i piccoli. “Poteva capitare, ma non era sicuramente un’usanza – conclude l’avvocato -. La mia assistita ha spiegato di aver agito come se quelli fossero figli suoi”.

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