Ω Primo Piano

La duplice fase della pandemia di Spagnola del 1918-19

SECONDA PARTE. Dalle forme lievi dei primi contagi in Piemonte e in Valle d’Aosta, alla crescente virulenza dell’ondata autunnale e invernale successiva

Abbiamo già avuto occasione di parlare della pandemia di Spagnola in un precedente articolo su questo giornale. Chi fosse interessato a rileggerlo, clicchi QUI. Ora intendiamo riprendere la cronaca di quegli anni terribili in cui imperversò questa malattia, particolarmente virulenta e perniciosa, capace di sterminare, con le sue complicanze polmonari, milioni di contagiati in poco più di un anno e mezzo, lasciando un luttuoso strascico di morte in Piemonte, in Italia, in Europa e in tutto il mondo.

La prima ondata della pandemia

Nel nostro Paese, e nella sua fase iniziale, la pandemia di Spagnola non risparmiò i nostri soldati schierati in trincea, nonostante le misure di profilassi preventiva adottate al fronte dalla Sanità Militare. Sia pur operando in difficilissime condizioni ambientali, i Centri di disinfezione si dimostrarono abbastanza scrupolosi e attenti nell’igienizzare gli indumenti dei soldati in arrivo e in partenza dal fronte. Ma la vita di trincea e le condizioni estreme, anche dal punto di vista igienico, in cui i nostri soldati si muovevano quotidianamente, rappresentavano una situazione assolutamente critica che annullava gli effetti di ogni precauzione sanitaria, esponendo i combattenti a continui rischi di contagio. E infatti, furono proprio gli spostamenti dei soldati che ritornavano in prima linea, o che partivano per un periodo di licenza nelle loro case, a contribuire alla diffusione del morbo.

Fu il Piemonte a segnalare uno dei primi focolai dell’epidemia, a Domodossola. Era il mese di maggio del 1918: poi, via via, i focolai si estesero ad altri centri urbani diffusi qui e là per la penisola: ad Assisi, a La Spezia (presso la base della Regia Marina Militare), ed ancora in altri comuni delle province di Modena, Piacenza, Verona e Pisa.

Nel mese di giugno, l’epidemia raggiunse Torino e molti altri centri del Piemonte;  in quello stesso mese, la Spagnola si propagò anche in Puglia, a Bari e a Taranto. Questa prima fase durò poco più di due mesi: di questo periodo, non essendo la malattia ancora sottoposta a denuncia obbligatoria alle autorità sanitarie, non sono tuttavia disponibili dati statistici per stimare l’effettivo numero dei contagiati, ma si presume comunque che gli infettati furono numerosissimi. Il picco di questa prima ondata di contagi si toccò nel mese di maggio del 1918. Già a partire dal mese di giugno, si registrò però un marcato calo del numero dei colpiti, tendente a valori prossimi allo zero attorno alla metà del mese di luglio. 

Lo stesso andamento statistico di contrazione fu rilevato tra i militari del Regio Esercito Italiano. In una sola Armata, a titolo di esempio, gli Ospedali Militari registrarono 14.750 casi di contagio a maggio, 9.755 nel mese di giugno e solo 45 casi nel mese di luglio. Sembrava davvero che le più alte temperature estive avessero definitivamente debellato il pericoloso virus della Spagnola.

La seconda ondata

E invece, già verso la fine del mese di luglio, una graduale recrudescenza della malattia cominciò a manifestarsi in Italia (come nel resto del mondo): i nuovi contagiati lamentavano sintomi decisamente più gravi rispetto a quelli della prima ondata.  A settembre, il quadro clinico dei malati confermava, in generale, una maggior aggressività della malattia, con complicanze spesso letali di “polmonite crupale”. La regione maggiormente colpita si rivelò la Calabria, a partire da Reggio e Catanzaro, per poi estendersi anche alla provincia di Cosenza. Il contagio si estese poi a Palermo, a Chieti, e a Caserta, acutizzandosi ovunque in modo marcato e diffuso.

Anche in Piemonte e in Valle d’Aosta, che allora era una provincia piemontese, come in molte altre regioni italiane, la Spagnola venne spesso inconsapevolmente trasmessa dai soldati in licenza che ritornavano dal fronte. La guerra era quasi finita, anche se i nostri fanti non lo potevano ancora sapere: molti di essi erano scampati alle granate nemiche e a furiosi assalti alla baionetta, ma dovettero cedere all’infezione della malattia, morendo di Spagnola negli Ospedali da campo allestiti nelle retrovie del fronte o negli Ospedali Militari più arretrati.

Molti furono i medici condotti infettati dalla malattia. A questo proposito, riportiamo il curioso caso riportato nei primi giorni di ottobre del 1918 (quando si registrò il picco assoluto della pandemia) sul quotidiano valdostano in lingua francese “Le pays d’Aoste”: Una delle prime vittime valdostane della Spagnola è stata il medico condotto di Nus, il dott. Paolo Porta. Suo genero, il tipografo aostano Joseph Marguerettaz, era morto in trincea di Spagnola in un Ospedale da campo soltanto due giorni prima”.

1919: una paziente indossa un ugello antinfluenzale

Nonostante tutto, nelle città italiane, e nonostante il pesante clima di apprensione e di paura per il morbo dilagante e per una guerra lunga e faticosa ancora in corso, la vita continuava con apparente normalità: le botteghe, rimaste aperte, e forse proprio a causa della pandemia, continuavano a fare buoni affari, e persino le passeggiatrici continuavano a mostrarsi sui marciapiedi.

A tal proposito, restando in Valle d’Aosta (dove la Spagnola fece complessivamente 1315 vittime), un quotidiano dell’epoca – che non risparmiava articoli con suggerimenti e commenti dal registro a dir poco ironici – ebbe a scrivere: “Eviter le baiser, si charmant qu’il puisse momentanément paraitre. Eviter jusqu’aux sourires de celles qui les vendent et ne semblent pas s’en porter plus mal sur les trottoirs”.

In Piemonte, come in molte altre regioni italiane, si registrò un numero altissimo numero di vittime tra il personale medico e paramedico, esposto in prima linea nella lotta contro la pandemia. Soprattutto nelle grandi città, come a Torino, si contarono numerose vittime anche tra le forze dell’ordine e tra gli addetti ai trasporti urbani, come autisti, conduttori di tram e carrozze, ferrovieri, e pure tra i commercianti e gli agenti di commercio, anch’essi particolarmente esposti al contatto con un gran numero di persone. Per quanto gli anziani appartenessero ad una fascia di età potenzialmente più esposta alle complicanze delle infezioni polmonari, i più colpiti dalla pandemia risultarono, a sorpresa, i giovani tra i 18 e i 30 anni.

La letteratura che si è occupata della pandemia di Spagnola è vastissima e le tesi sulla sua genesi, sostenute da diversi scienziati e virologi, riprese e sviluppate anche recentemente, spesso appaiono in contrasto tra loro. Secondo un’ipotesi piuttosto diffusa, il virus pandemico del 1918 sarebbe stato probabilmente diffuso dai volatili: il virus avrebbe dapprima infettato gli uomini nell’ondata iniziale primaverile; poi sarebbe passato ai maiali, e da questi animali sarebbe stato nuovamente trasmesso alla razza umana, con un marcato aumento della virulenza, esplosa nella seconda ondata, quella autunnale-invernale.  Sembra che i soggetti contagiatisi durante la fase primaverile siano rimasti immunizzati, così da superare indenni la seconda ondata invernale del contagio.

La data ufficiale dell’inizio della seconda ondata di Spagnola fu identificata con il 22 agosto 1918: si pensò che alla recrudescenza della diffusione della Spagnola nei vari paesi dell’antico continente avessero contribuito i movimenti di truppe in diversi Stati europei, compresi quelli dell’Esercito Americano. È probabile che diversi foci epidemici si siano verificati contemporaneamente in zone diverse del nostro Paese e dell’Europa, con mutazioni del virus rispetto alle caratteristiche della prima ondata d’infezioni, a seconda dei diversi focolai locali.

I nuovi scenari a fine pandemia

Cambiarono davvero le cose nel mondo quando la pandemia si esaurì? Sì e no. Sì, perché un senso di libertà, di sicurezza, di rinnovata gioia di vivere e di ricostruzione si diffondeva tra i popoli coinvolti. Finita la guerra ed estintasi la Spagnola, con il loro funesto strascico di milioni e milioni di vittime in tutta Europa, rispettivamente al fronte e sui letti degli ospedali, gli italiani e gli europei volevano soprattutto dimenticare ed esorcizzare questi prolungati strascichi di dolore e morte, e godersi la ritrovata pace. No, perché già a distanza di soli pochi anni da quelle immani disgrazie, inquietanti prospettive di nuovi scenari economici e politici si stavano delineando in Italia, in Europa e nel mondo: scenari che avrebbero presto comportato altre terribili e sconvolgenti tragedie.

(Fine seconda e ultima parte)

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino", "Statue di Torino" e "Ponti di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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