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Il farò di San Giovanni tra storia, leggenda e tradizione

TORINO. E’ iniziato il conto alla rovescia per la grande festa di San Giovanni che coinvolgerà il centro storico del capoluogo nelle giornate di domani, domenica 23 e lunedì 24, giorno in cui si celebra il patrono del capoluogo. L’elezione di San Giovanni Battista come patrono del capoluogo piemontese ha origini molto antiche. In alcuni documenti storici è già menzionata nel 602 quando Aginulfo, duca di Torino, fece erigere una chiesa in suo onore.

I festeggiamenti così come ci sono stati tramandati risalgono al Medioevo. Tutta la popolazione, gli abitanti di Torino e dei paesi limitrofi, era coinvolta nelle diverse fasi di un rituale che prevedeva danze, canti, banchetti, oltre agli appuntamenti religiosi. Questi ultimi, erano legati alla celebrazione, la processione e l’ostensione della reliquia del Santo, proveniente dalla Chiesa di St. Jean de Maurienne. I momenti centrali di questa festa medievale erano, invece, la balloria (le danze e i canti in preparazione dei festeggiamenti serali), la corsa dei buoi (pittoresca corsa, che si svolgeva nelle vie della Città e più precisamente nelle strade del Borgo Dora) ed il farò (falò in lingua piemontese).

La tradizione del farò è antichissima, forse quanto la stessa festa del Santo. La catasta di legna da ardere veniva già anticamente preparata in piazza Castello, più precisamente all’altezza di via Dora Grossa (l’attuale via Garibaldi). Soltanto più tardi è stata spostata all’altezza di via Palazzo di Città, per consentire al cavaliere del vicario e ai suoi uomini di vegliare tutta la notte mantenendo l’ordine. Per il farò, il 23 giugno, veniva preparata nella piazza centrale un’enorme catasta piramidale di legna, a cui il figlio più giovane del principe regnante doveva dare fuoco creando un grande falò: gli abitanti cantavano e ballavano in cerchio intorno al fuoco, recitando preghiere in onore di San Giovanni. Le danze erano guidate da Re Tamburlando, una figura che può essere paragonata a quella di Gianduja, che oggi appunto guida i festeggiamenti della vigilia di San Giovanni.

Come sovente accade nelle feste cristiane della tradizione, anche per quella di San Giovanni la religione si mescola alle credenze più antiche e alle superstizioni. Essa coincide d’altronde con il solstizio d’estate, che nel mondo pagano simboleggiava un rito di passaggio che, portava la Terra dal predominio lunare a quello solare, durante la notte più corta dell’anno. Sempre durante questa lunga notte di festeggiamenti, i torinesi si lasciavano andare a riti e credenze magiche, come bruciare le vecchie erbe nel falò e raccoglierne di nuove per leggere il futuro o comprare l’aglio per avere un anno fortunato, oppure ancora, raccogliere un ramo di felce a mezzanotte e conservarlo in casa per aumentare i soldi. Si narra anche che durante la notte venissero raccolte erbe e foglie da battezzare nelle acque per poi, durante l’anno, preparare filtri e pozioni magiche utili per fare incantesimi. Sulla base di queste tradizioni si diffuse la credenza che la notte di San Giovanni fosse dedicata alla celebrazione dei rituali delle streghe, ovvero le “masche” piemontesi.

Il lato scaramantico e un po’ magico rimane oggi in vita con la tradizione della caduta del toro posto in cima al farò. A seconda della direzione in cui cadrà il simbolo porterà fortuna o sfortuna alla città durante i mesi a seguire. La leggenda vuole che se il toro cadrà verso Porta Nuova allora sarà un anno propizio, se cadrà nella direzione opposta la fortuna volterà le spalle alla Città. In attesa di un’altra festa e di un altro farò.

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