I bottoni di Torino nelle asole di tutto il mondo
Chiara e Serena Bonfanti continuano a produrre bottoni per le case di moda di tutto il mondo. La loro fabbrica, fondata dal nonno nel dopoguerra, non si è mai spostata dalla Barriera di Milano
TORINO. Ex capitale dell’automobile, ex capitale del cinema, ex capitale della tecnica, della televisione, delle caramelle, della moda… Quanti primati sfumati, quanti scettri passati di mano, o nascosti e dimenticati chissà dove… I nostri lettori hanno già capito che stiamo parlando di Torino, città laboratorio, città dell’avanguardia del pensiero, della scienza e della creatività, città che per l’indole innata dei suoi abitanti è sempre alla ricerca di nuove idee che possano anticipare il futuro, ma anche – per un curioso e avverso destino – spesso ‘costretta’ a reinventarsi, a perseguire nuove eccellenze, nuovi primati, perché quelli già conseguiti, fatalmente le sfuggono o le vengono strappati di mano. Non tutti, però. Qualcosa dei fasti della moda torinese, che nel Novecento primeggiava in Europa, rivaleggiando con Parigi, grazie al prestigio dei suoi atelier, alla creatività delle sue couturières e modiste, alle svelte e delicate dita delle sue sartine, che sapevano armeggiare con aghi e fili con ineffabile maestria, qualcosa di quei fasti, dicevo, ancora brilla a Torino, e brilla di una luce vivida e rara.
Oggi vogliamo infatti parlare di un’azienda torinese, che è leader in Europa nella produzione di bottoni per l’alta sartoria: è la Bonfanti, una fabbrica, o se volete un atelier, che non si è mai spostato dalla sua storica sede di Via Baltea, al civico 20, in piena Barriera di Milano. Questa fabbrica di bottoni venne fondata nell’ultimo dopoguerra. In quegli anni, l’Italia si era prontamente lanciata nell’ardua impresa di ricostruire il proprio tessuto economico e industriale dopo le devastazioni della guerra. E gli italiani – con grande spirito di sacrificio, ma anche con grande fervore – si prodigarono per cancellare (e dimenticare) i danni materiali, fisici, economici e morali del conflitto. Erano anni di grandi privazioni, ma anche di grandi speranze. Fu in quell’epoca che – grazie all’intraprendenza di giovani imprenditori come Walter Bonfanti, che credevano fortemente nel futuro – furono gettate le basi per quella ricostruzione del tessuto socio-economico-industriale dell’intero Paese, che di lì a poco avrebbe dato l’abbrivio al cosiddetto “miracolo italiano”.
Nonno Walter aveva intuito che il bottone poteva rappresentare non solo un indispensabile accessorio dell’abbigliamento, ma poteva anche, e soprattutto, essere un particolare che poteva dar un valore aggiunto di stile ai capi di abbigliamento dell’alta moda, ma anche a capi di vestiario più abbordabili, come quelli, tanto per intenderci, che negli Anni Settanta sarebbero stati definiti “prêt-à-porter”. Grazie anche all’aiuto finanziario di suo padre, Bonfanti iniziò la sua avventura industriale rilevando i macchinari di una vecchia fabbrica di bottoni di Settimo Torinese. Poi dotò la sua fabbrichetta di più moderne attrezzature, e pian piano cominciò a cavalcare gli anni del boom economico. Fu un radicale cambiamento della moda, dove i bottoni – come giustamente e preventivamente Walter aveva intuito – diventavano un accessorio che non poteva più passare inosservato, perché ora rappresentavano un elemento di classe e distinzione all’abito, soprattutto se erano realizzati con materiali innovativi e inconsueti e in forme non tradizionali.
La piccola azienda torinese, per la creatività e l’originalità dei suoi prodotti, cominciò presto ad affermarsi sul mercato nazionale, e con gli anni, anche su quello internazionale. Ora è giunta alla terza generazione e la Bonfanti del terzo Millennio si presenta come un’azienda moderna, sempre sul pezzo, e sempre pronta a rispondere a tamburo battente ai cambiamenti dei gusti e alle mutate esigenze dei consumatori. Recentemente il timone della fabbrica di bottoni della Barriera di Milano è infatti passato a Chiara e Serena, giovani e dinamiche imprenditrici, nipoti del fondatore e figlie di Mario Bonfanti, che hanno apportato in azienda nuovo entusiasmo e rinnovata fiducia nel futuro.
Così racconta lo zio Elio Bonfanti, figlio di Walter: “Era un uomo che non si risparmiava mai. Faceva anche il commesso viaggiatore: visitava lui stesso di persona i suoi clienti (grossisti, laboratori di confezioni, atelier, mercerie, ecc.); raccoglieva gli ordini, poi rientrava in fabbrica e metteva subito in moto le macchine per produrre quanto gli era stato ordinato, e poi ripartiva di nuovo, per consegnarli prontamente ai compratori. Appena possibile, e senza indugio, ritornava in azienda per espletare gli altri ordini di bottoni e rispondere alle esigenze di ogni cliente”. E, prosegue: “Mantenersi al passo con i tempi è oggi una sfida molto difficile, che comporta studio e ricerca: ogni stagione proponiamo un campionario con circa 200 nuovi modelli, che si affiancano a una collezione permanente di circa 150 pezzi di modelli classici e tradizionali”.
La produzione dei bottoni Bonfanti è oggi rivolta soprattutto alle più note griffe internazionali della moda. Una particolare attenzione comporta la selezione dei materiali, tutti molto ricercati: resina, legno, madreperla, osso, poliestere, cocco, metalli. Produrre bottoni di questo tipo è come produrre le perle di un collier o gioielli di bigiotteria. La sagomatura viene effettuata ancora manualmente, vagliando con scrupolo le parti da utilizzare e quelle da scartare, tenuto conto delle screziature naturali che possano esaltare la bellezza del prodotto, e delle eventuali imperfezioni, spesso identificate in modo tattile, facendo scorrere sul materiale grezzo i polpastrelli delle dita. Ogni pezzo viene poi passato al tornio; dopo di che, viene tinto e ulteriormente sgrossato per eliminare ogni residuale imperfezione della superficie; in seguito, viene ancora trattato con pasta abrasiva per la levigatura finale, prima dell’ultimo passaggio: la brillantatura. Davvero un vanto per la nostra città questa azienda virtuosa, che permette che i bottoni di Torino possano passare attraverso le asole di tutto il mondo.
Vorrei ora concludere questo pezzo con una riflessione: quanto lavoro, quanta passione, quanta poesia può essere conservata in un piccolo bottone. E allora, facciamoci attenzione: perdere un bottone è un po’ come perdere un piccolo tesoro. Controlliamo dunque, di tanto in tanto, che siano ancora tutti saldamente cuciti alle nostre giacche, ai nostri cappotti, ai nostri giacconi. A meno che i nostri indumenti siano dotati di cerniere lampo, che però non avranno mai lo stesso fascino di un bel bottone torinese.