Ultim’ora lavoro, vi licenziano anche per errori commessi da ragazzi: se avete scheletri nell’armadio è la fine

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Una sentenza rivoluziona il rapporto tra dipendente e datore di lavoro: l’impiegato rischia di pagare caro anche errori pregressi.

Dichiarare il falso è sempre un comportamento sconsigliato. Oltre che moralmente riprovevole, almeno nell’ambito famigliare, ci sono situazioni in cui l’attestata mancata veridicità delle proprie azioni può portare a ripercussioni molto gravi anche dal punto di vista penale.

Insomma, come si usa dire le bugie hanno le gambe corte e non si tratta solo di una locuzione dal valore simbolico che abbiamo imparato da bambini. Mentire può costare caro nella sfera affettiva e ancora di più in quella lavorativa.

Ammettere di aver commesso un errore è sempre la strategia da preferire, anche a costo di incorrere negli strali del nostro capo, che di sicuro, al netto dell’ipotetica gravità della mancanza di cui ci si è resi protagonisti, apprezzerà molto di più la sincerità piuttosto che un atteggiamento meschino, in particolare se prolungato nel tempo.

Del resto assumersi le proprie responsabilità è all’ordine del giorno nel mondo del lavoro e, per restare in tema di aforismi, solo chi non fa non sbaglia. Detto questo, da oggi per tutti mantenere il proprio posto di lavoro in presenza di “scheletri” negli armadi può essere sempre più difficile.

Il postino che non suona neppure una volta fa giurisprudenza

Per essere davvero tranquilli mentre si esercita la propria professione bisogna avere una fedina penale pulitissima. A stabilirlo è una recente sentenza della Cassazione, la n. 4227/2025, che stabilisce che il datore di lavoro è nel pieno diritto di rivalersi sul dipendente, fino al licenziamento, qualora venisse a conoscenza di condotte moralmente riprovevoli anche se queste risalissero a prima dell’instaurazione del contratto.

Tutto nasce da un episodio ormai lontano nel tempo, ma in grado di fare giurisprudenza. Anni dopo l’assunzione avvenuta nel 2006 un postino fu sottoposto a una perquisizione domiciliare, durante la quale le forze dell’ordine scoprirono oltre 7000 tra buste e pacchi mai consegnati, alcuni dei quali contenenti documentazione sensibile, come atti giudiziari. Il lavoratore aveva già collaborato, in precedenza, con la stessa azienda. Riassunto, è stato colto in fallo proprio durante la seconda esperienza lavorativa, sebbene le omissioni risalissero al primo periodo.

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Licenziamento per giusta causa – Piemontetopnews.it (Foto Pexels)

Lavoro, da oggi è vietato sbagliare: la sentenza della Cassazione cambia tutto

L’azienda avviò immediatamente un procedimento disciplinare culminato con il licenziamento per giusta causa ritenendo compromesso il rapporto fiduciario con il dipendente. Il successivo ricorso del postino, appellatosi a un presunto stato di grave stress psicologico vissuto nel periodo delle violazioni, oltre che all’appunto che le stesse risalissero ad un periodo antecedente, fu accolto dal Tribunale del lavoro, che ordinò il reintegro.

La società, tuttavia, presentò appello ottenendo un ribaltamento del verdetto a proprio favore. La Cassazione ha poi chiuso il caso, facendo prevalere il principio della gravità e la dolosità del comportamento anche se anteriore alla firma del contratto. Ecco quindi definito un principio giurisprudenziale di portata generale, destinato a segnare un nuovo capitolo nell’infinito manuale di rapporti tra datore di lavoro e dipendente.