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Nati il 24 giugno: il saluzzese Silvio Pellico, autore de “Le mie prigioni”

Silvio Pellico nasce il 24 giugno 1789 a Saluzzo ed il giorno successivo è  battezzato  in duomo. E’ il secondogenito del commerciante piemontese Onorato Pellico (1763-1838) e della savoiarda Margherita Tournier (1763-1837), originaria di Chambery. Come i quattro fratelli riceve un’educazione cattolica dalla devota madre. Uno dei suoi fratelli, Francesco, diviene gesuita; le sorelle Giuseppina e Maria Angiola prendono i voti. Il primogenito Luigi (1788-1841) tenta la carriera politica, condividendo le idee di Silvio e le sue stesse passioni letterarie.

Dopo gli studi a Pinerolo, dove suo padre nel 1792 ha rilevato la gestione di un negozio, nel 1799 in seguito al fallimento dell’attività paterna va a vivere con la famiglia a Torino e in seguito viene inviato dai genitori in Francia, a Lione, per fare pratica nel settore commerciale. Nella città francese Pellico dimostra scarsa inclinazione per gli affari appassionandosi invece agli studi classici, alle lingue e agli autori contemporanei, quali Foscolo e Vittorio Alfieri di cui diventa un fervente ammiratore. Al rientro in Italia, nel 1809, si stabilisce con la famiglia a Milano, dove il padre trova un impiego pubblico al Ministero della Guerra del Regno d’Italia. A Milano il Pellico è insegnante di francese presso il collegio militare. Giovane entusiasta della poesia neoclassica, frequenta Vincenzo Monti e Ugo Foscolo legando in particolare con quest’ultimo. Comincia a scrivere tragedie in versi di impianto classico, come Laodamia (1813) ed Eufemio di Messina. Alla caduta del regime napoleonico (1814) perde la cattedra di francese. Il 18 agosto 1815 a Milano viene rappresentata la sua tragedia Francesca da Rimini. La tragedia reinterpreta l’episodio dantesco alla luce delle influenze romantiche e risorgimentali del periodo lombardo.  Nel 1816 si trasferisce ad Arluno, nella casa del conte Porro Lambertenghi, dove è istitutore dei figli Domenico (Mimino) e Giulio Porro Lambertenghi.  Stringe relazioni con personaggi della cultura come Madame de Staël e Friedrich von Schlegel, Federico Confalonieri, Gian Domenico Romagnosi e Giovanni Berchet. In questi circoli venivano sviluppate idee tendenzialmente risorgimentali, rivolte alla possibilità di indipendenza nazionale: in questo clima, nel 1818 viene fondata la rivista Il Conciliatore, di cui Pellico era redattore e direttore.

La ricostruzione della cella di Pellico allo Spielberg

Pellico e gran parte degli amici fanno parte della setta segreta dei cosiddetti “Federati”. Scoperti dalla polizia austriaca che è riuscita ad intercettare alcune lettere compromettenti di Piero Maroncelli, il 13 ottobre 1820, Pellico, lo stesso Maroncelli, Melchiorre Gioia e altri vengono arrestati. Da Milano Pellico viene condotto alla prigione dei Piombi di Venezia, e poi in quella dell’isola di Murano, dove rimane fino al 20 febbraio 1821. A Venezia viene letta pubblicamente il 21 febbraio 1821 la sentenza del celebre Processo Maroncelli-Pellico.  I due imputati sono condannati alla pena di morte. Per entrambi, poi, la pena viene commutata: venti anni di carcere duro per Maroncelli, quindici per Pellico. A fine marzo i condannati sono condotti nella fortezza austriaca di Spielberg. Partiti la notte fra il 25 e il 26 marzo, attraverso Udine e Lubiana giungono alla prigione, situata a Brünn, l’odierna Brno, in Moravia. La dura esperienza carceraria costituisce il soggetto del libro di memorie Le mie prigioni, scritto dopo la scarcerazione, che ha grande popolarità ed esercita notevole influenza sul movimento risorgimentale. Metternich ammette che il libro danneggia l’Austria più di una battaglia persa.

Dopo il ritorno alla libertà (1830) il Pellico pubblica altre tragedie: Gismonda da Mendrisio, Leoniero, Erodiade ed altre oltre al libro morale I doveri degli uomini (1834). Viene assunto dai marchesi di Barolo Carlo Tancredi Falletti e Giulia Colbert (ai quali è presentato da Cesare Balbo) e rimane a Palazzo Barolo fino alla morte. Nel 1838 Re Carlo Alberto di Savoia lo beneficia con una pensione annua di 600 lire. Muore il 31 gennaio 1854. È sepolto nel Cimitero monumentale di Torino (Campo primitivo Ovest, edicola n. 266)

Danilo Tacchino

Nato a Genova, da sempre vive a Torino dove si è laureato in Lettere. Sociologo e giornalista pubblicista , ha sviluppato ricerche storiche nell’ambito della musica, dell’ufologia e dell’industria locale. Sin dagli Anni Ottanta ha realizzato diversi volumi su tradizioni e misteri locali della Liguria e del Piemonte. Appassionato anche di letteratura, è direttore artistico di alcune associazioni culturali torinesi.

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