AMARCORD di Mino Rosso

dal libro avevo imparato a fare il surplace come i grandi del ciclismo su pista…

questa è la pubblicazione di una serie di racconti che rimandano al tempo passato. sono 12 +1. dodici come le ore (nell’ordine: la sveglia / l’uomo del plasmon / tra linee rette e curve / condor n. 5 / magellano / rai radiotelevisione italiana / bwv565 / italia ‘61/ 48/14 / la 500 da corsa / la racchetta di rod laver / il giro di sol) più uno dedicato all’orologio del minareto della moschea di testour (tn) dove questa idea di ritornare indietro nel tempo è nata. in ogni racconto è riportata una pagina di immagini che rimandano al testo e quella dell’oggetto/scultura con l’inserimento di un orologio dal movimento antiorario. 

ecco, sì, anch’io avrei voluto avere una moto. anche se allora se ne vedevano poche. però bastava avere una cartolina (i più ricchi avevano una carta da gioco), una pinzetta per biancheria (in legno) e una bici. gesù, e questo era il problema. beh, qualcuno dei miei compagni di scuola ce l’aveva. ma erano proprio pochi. io ero una via di mezzo. ecco, mi spiego. non so come una sorta di catorcio. da uomo. io non arrivavo allora ai pedali così mi toccava andare pedalando di traverso sotto il tubo orizzontale. vabbè, lo so, non era una impresa da applauso. facevamo tutti così perché bici da bambini/ragazzini non c’erano. le bici erano quelle dei grandi. i più fortunati andavano con la bici da donna. gli altri di sbieco su quella da uomini. la mia era verde. me lo ricordo perché ero riuscito a verniciarla con un pennello dai pochi peli. e tante strisce.

a mano beh, poi gli anni passarono (sino ad arrivare agli anni ‘60) e la bici diventò la mia idea di diventare un ciclista professionista. come al solito prevaleva in me l’idea che bastasse avere un manuale del buon ciclista1 e pensare di applicarne le regole fondamentali della meccanica ciclistica. quelle per il corretto abbigliamento. quelle della dieta da seguire durante l’allenamento e in corsa. avevo imparato tutto a memoria. e provavo e riprovavo una elio2 (arancio-sole) e una paratella3 (rosso violaceo-prugna) da pista. quando uno si ritiene un corridore completo non ci sono limiti da rispettare. non so come e perché mi fu regalata (?) la maglia di campione del mondo di messina4. e con quella esordii (beh, nel senso mi recai) al motovelodromo. quello di corso casale. caschetto a tre strisce. clips (così si chiamavano allora i fermapiedi. le scarpe con sotto gli appositi tacchetti venivano saldamente legati ai pedali con un cinghietto). sella brooks. pignone fisso. e rapporto 48/14.

 lunghissimo per le mie gambe da scalatore. sulla carta. molto meno sulla strada. dal libro avevo imparato a fare il surplace5. mah. ciononostante iniziai ad inanellare giri (termine tratto dal gergo pistaiolo) per poi lanciarmi in quelli di massima velocità. e proprio durante questi ultimi che alle mie spalle avvertii un insistente fruscio che in pochi metri mi inghiottì sparendo al mio orizzonte (anche se in pista si percorre un anello). era michel (rousseau). anche lui con la maglia iridata. quella vera. cioè vinta per davvero da chi la indossa. incominciai a pensare che forse per correre servivano le gambe. ne avevo già avuto conferma quando, per sfruttare le mie caratteristiche, mi arrampicavo sulla salita di superga. 5,500 km con pendenza media all’9% con punte del 13% con un max del 18%. non avevo il cardiofrequenzimetro. però avevo il cuore in gola.

e tanto mi bastava per salire a zig-zag prima di mettere il piede a terra. qualcuno (amico) mi suggeriva che quanto accadeva potesse essere colpa della dotazione: doppio plateau (corona) e la cassetta dei pignoni non adatti. troppo lunghi. o persino il nastro del manubrio troppo scivoloso. altri (sempre amici) la dieta. altri ancora (e anche questi sempre amici) l’abbigliamento. ben presto mi resi (ho dovuto rendermi) conto della fragilità di tutte queste ipotesi. mi sono tolto gli scarpini e la maglia iridata è finita in un cassetto. ripiegata.  gesù. dopo non molti anni, qualcuno mi regalò come si trucca un’automobile8 di gianni rogliatti.  preparare l’auto e il vero pilota da corsa9. appesi al chiodo le due ruote e passai alle quattro. io, infedele verso me stesso. come nessun altro.

 1 Giseppe Ambrosini – Prendi la bicicletta e vai – Guida per gli istruttori allenatori e corridori ciclisti – Società Editrice Stampa Sportiva – 1956.
2 Elio – Le bici ELIO TORINO erano costruite da Giuseppe Pelà in borgo San Paolo.
3 Paratella (Corrado) – artigiano che per 40 anni costruì a mano bici particolari nel negozio di via Cuneo 7 in Torino.
4 Guido Messina (1931-2020) è stato un pistard e ciclista su strada italiano. Vinse l’oro nell’inseguimento a squadre ai Giochi olimpici di Helsinki 1952 e cinque titoli mondiali nell’inseguimento individuale, due tra i dilettanti e tre tra i professionisti. 
5 Il surplace è una tecnica, utilizzata soprattutto nelle gare di velocità del ciclismo su pista, che permette di rimanere fermi in equilibrio sulla bicicletta in attesa del momento migliore per attaccare e sorprendere l’avversario
6 Michel Rousseau (1936-2016) pistard francese Parigi 1958: oro nella velocità.
8 Gianni Rogliatti – Come si trucca un’automobile – L’Editrice dell’Automobile. 1965.
9 Baghetti e Barbieri – IL VERO PILOTA DA CORSA – ed. Longanesi – 1966.

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