Curiosità

Torino, la storia del ghetto ebraico voluto dalla seconda Madama Reale

Il 2 agosto 1679, a Torino, per ordine della duchessa reggente, Maria Giovanna Battista di Nemours, tutrice del duca Vittorio Amedeo II, minorenne, venne di fatto istituito il ghetto ebraico di Torino, molto prima che nelle altre parti del regno. Da allora gli ebrei di Torino, circa 750 persone, avevano un anno per trasferirsi nella zona loro destinata, un edificio che in precedenza ospitava l’Ospedale di carità, tra le attuali vie Bogino, Maria Vittoria, San Francesco da Paola e principe Amedeo. Dall’ingresso principale, in via San Filippo al numero 5 (l’attuale via Maria Vittoria), si accedeva nel Grande Cortile (la Court Granda), mentre su via San Francesco da Paola si apriva un ingresso secondario.

Un passaggio coperto, detto i “Portici Oscuri”, metteva in comunicazione il Grande Cortile con quello detto “della Vite”, aperto su via d’Angennes (l’attuale via Principe Amedeo).  Vi erano inoltre la Court di Galahim, chiostro di un antico convento detto comunemente “Cortile dei Preti”, con ingresso su via delle Scuderie del principe di Carignano (oggi via Bogino), come il Cortile della Terrazza, a sua volta collegato con il Grande Cortile.

Questo era dunque il cuore della comunità: circondato da lunghi balconi, su cui si aprivano i numerosi appartamenti, al piano terreno trovarono posto le botteghe, soprattutto di oggetti usati e di abiti da uomo. Sul Grande Cortile si affacciavano inoltre il Tempio di rito italiano, gli uffici dell’amministrazione e le altre strutture collettive.

Nel 1681 il canone di affitto risultava di circa 6000 lire, ma già nel 1693 ammontava al doppio. Le progressive richieste di aumento da parte dell’Ente dell’Ospedale fecero levitare l’affitto fino a 19.000 lire, finché gli ebrei ricorsero al re, che con una sentenza del 1779, confermata nel 1794, di fatto bloccava il canone. L’affollamento del ghetto si rivelò un serio problema per lo stato quando, nel 1831, dalla Francia si temeva l’arrivo del colera. Venne ordinato un censimento, dal quale risultava che nel Ghetto Vecchio abitavano 212 famiglie, con 1189 individui, occupanti 527 camere, spesso piccole, con soppalchi, o ricavate da botteghe.

Nel Ghetto Nuovo abitavano 280 ebrei, mentre le famiglie più ricche risiedevano per concessione sovrana in alcune case nei pressi di piazza Carlo Emanuele II.

Per risolvere la situazione, rappresentanti della Commissione Israelitica e della Commissione Sanitaria presero in esame alcuni edifici della città in cui ospitare una parte della popolazione ebraica. Carlo Alberto, il 15 settembre 1832, concesse una dilazione per acquistare o prendere in affitto un locale per 25 famiglie, favorì la partenza degli ebrei forestieri e la loro collocazione presso altre comunità dello stato, permise inoltre che gli ebrei più agiati si procurassero alloggi fuori dal Ghetto.

Un palazzo di piazza Carlo Emanuele II

Questi fatti, che salvarono il Ghetto dalle epidemie di colera, crearono i presupposti per differenziare ulteriormente la parte benestante della comunità che aveva già stabilito legami con la borghesia piemontese, investendo capitali nelle nuove attività industriali e che potevano  così svincolarsi dal ghetto, pur mantenendone le tradizioni religiose.

Dopo la firma dello Statuto albertino che gettava le basi per l’abolizione delle discriminazioni giuridiche a danno degli ebrei, il ghetto non ebbe più la necessità di esistere e quindi il ghetto si svuotò progressivamente e gli stabili vennero venduti e ristrutturati, mentre le famiglie ebree poterono trasferirsi anche in altri quartieri della città. Nel Novecento, gli ebrei torinesi si trovavano in un po’ tutte le zone della citt,: i più benestanti alla Crocetta, le famiglie meno abbienti in San Salvario, in prossimità della Sinagoga, costruita nel 1884.

Massimo Centini

Massimo Centini

Classe 1955, laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri. Tra le attività più recenti: al Museo di Scienze Naturali di Bergamo; ha insegnato Antropologia Culturale all’Istituto di design di Bolzano. Docente di Antropologia culturale presso la Fondazione Università Popolare di Torino e al MUA (Movimento Universitario Altoatesino) di Bolzano. Numerosi i suoi libri pubblicati in italiano e in varie lingue.

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