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Gli antichi strumenti “idiofoni” della tradizione popolare piemontese: “cantaran-a”, “tascon” e “trich-trach”

Venivano utilizzati tra il Giovedì Santo e il Sabato Santo quando era proibito il suono delle campane. Il Gruppo di Danze Storiche e popolari piemontesi “Ij Danseur dël Pilon” li ha riscoperti e trasformati in strumenti dal suono gioioso e articolato, adatto ad accompagnare le Danze Piemontesi e Occitane

Nei giorni che precedono la Pasqua, ovvero dalla Messa Vespertina in Coena Domini del Giovedì Santo fino a tutto il Sabato Santo, in segno di lutto, preghiera e raccoglimento ancor oggi tacciono le campane di tutte le chiese, per poi riprendere a risuonare a festa con gran giubilo in prolungati concerti nel giorno della Resurrezione, quello di Pasqua, festività che i Cattolici celebrano tradizionalmente la prima Domenica successiva al primo plenilunio di Primavera.

Ebbene, in questi giorni della Settimana Santa, il suono delle campane (per annunciare l’Ave Maria, il Vespro, la morte di un parrocchiano, l’inizio delle funzioni, un allarme d’incendio e così via) veniva sostituito da quello emesso da strumenti a percussione poveri (in legno o in metallo) realizzati generalmente in modo artigianale, ma dotati di un’acustica sufficiente per espanderne l’eco nel vicinato o quanto meno in prossimità delle Chiese.

Esistevano molti tipi di questi strumenti, di foggia e sonorità diverse, che a seconda delle regioni e dei vari dialetti assumevano nomi differenti (come le bàtole, ij grij, i ringhècc, e così via), ma tutti avevano la stessa funzione: quella di comunicare sonoramente agli abitanti di un borgo o di una comunità il cadenzato succedersi delle funzioni nel particolare periodo della Settimana Santa.

Questi strumenti poveri, tecnicamente chiamati “idiofoni” (in quanto le vibrazioni sonore erano emesse dal corpo stesso dello strumento, generalmente per percussione: appartengono a questo tipo di strumenti anche le campane) oggi hanno perso la loro precipua funzione originaria, cioè quella di sostituire il suono delle campane durante la Settimana Santa, ma per la verità non sono del tutto scomparsi.

Compaiono talora ad esempio come strumenti musicali in alcuni Gruppi Storici o Folkloristici, ad accompagnare i defilé o le esibizioni di danze popolari.

Anche il Piemonte aveva i suoi tipici strumenti idiofoni, come la cantaran-a (da pronunciarsi con la n “faucale”, come in lun-a) e il tascon. Immancabile nelle bande era il tamborn (il tamburo). Il tambornin (il tamburino) era il musico che si occupava di questo strumento.

Il Gruppo di Danze Popolari e Tradizionali Piemontesi Ij Danseur dël Pilon, dal canto suo, ha rispolverato la cantaran-a. Il ridente borgo di Cantarana, a pochi chilometri da Villanova d’Asti, in questo caso non c’entra nulla con questo strumento, che invece prende il nome dal suono gracchiante, o meglio gracidante, che riproduce, proprio come quello di una raganella. Questo strumento idiofono è stato utilizzato fino agli Anni Sessanta del Novecento durante o prima dei riti della Settimana Santa, soprattutto nel Canavese, ma non solo. La cantaran-a è dotata di un manico a manovella che, se lo si impugna e si fa ruotare il marchingegno usando la manovella come perno (come se fosse l’asta di una bandiera), mette in movimento una piccola ruota dentata montata a lato. I dentelli di questo ingranaggio, anch’esso in legno, ruotando fanno vibrare e risuonare una o più lamelle, sempre lignee, producendo così un suono acuto e ripetuto, proprio come quello delle rane in uno stagno.

Ij Danseur dël Pilon, normalmente accompagnati da strumenti tradizionali, dispongono di molti “tascon” piemontesi (strumenti “poveri” a percussione nati originariamente come “attrezzi” agricoli per dividere i chicchi di grano dalla pula e dalla paglia). Il battere ritmico dei tascon sulle spighe aveva anche una sua valenza estetica, quasi di danza, e il suono riprodotto era considerato al pari di una musica.

I tascon vengono portati a spalla dai Danseur, e vengono percossi ritmicamente da un martelletto, per riprodurre un suono ritmato, adatto ad accompagnare i brani melodici degli organetti diatonici, e a scandire il tempo durante le festose marce del Gruppo.

Ij  Danseur utilizzano altresì un “tamborn” (tamburo da parata piemontese) con il fusto in ottone: uno strumento storico (del primo ‘900) utilizzato anche da altri gruppi nell’Eporediese.

Ma c’è un altro strumento della tradizione popolare che Ij Danseur dal Pilon hanno riesumato dall’oblio riportandolo in auge: è il trich-trach. È  composto con una serie di placchette rettangolari in legno di differenti essenze; sono costruite a mano una ad una, e vengono unite tra loro con lo spago, ma separate da piccoli nodi; alle due estremità sono poste le impugnature tornite.

Un “trich-trach” usato dalle Danseure del Gruppo durante le gioiose parate

Nel Gruppo sono soprattutto le donne a suonare i “trich-trach” che vengono impugnati con entrambe le mani, e azionati con una particolare combinazione di rotazioni dei polsi e di movimenti verso l’alto e verso il basso,  in modo che le placchette sbattano tra loro e producano il loro caratteristico suono gioioso.

Non si sa quando e dove siano stati inventati i vari strumenti “poveri” cui si è fatto cenno in questo articolo, né chi li abbia inventati. In forme simili, e con nomi diversi, sono presenti a macchia di leopardo non solo in ogni regione italiana, ma anche all’estero, dall’Argentina ai Paesi dell’Est. Probabilmente furono creati da alcuni mandriani o pastori per fungere da spauracchio ai lupi o ad altri animali per difendere le loro greggi, oppure per accompagnare il canto e le danze popolari nei giorni di festa, oppure ancora per farne dei semplici passatempi. Chissà. È probabile che il loro uso possa essere stato promiscuo e comunque adattabile a diverse esigenze e situazioni contingenti, di lavoro o di svago. Certo sono molto curiosi e sono il frutto di una geniale e sorprendente creatività popolare.

A volte la storia e la cultura si celano anche nei piccoli oggetti apparentemente misteriosi. Basta saperle svelare.

(Sergio Donna)

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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