Nel portafogli devono spuntare le farfalle | NUOVA TASSA IN BUSTA PAGA: -600€ a partire da agosto

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Un “assegno sproporzionato” non è una condanna. La Corte di Cassazione ribadisce: la realtà economica prevale su giudizi morali e punizioni

La giustizia italiana torna a fare chiarezza su un tema delicato e spesso doloroso per molte famiglie separate: l’assegno di mantenimento per i figli.

Con l’ordinanza n. 19288, depositata il 14 luglio 2025, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo, ribadendo un principio tanto ovvio quanto, a volte, dimenticato dai tribunali:

il contributo per i figli deve essere sempre proporzionato alle reali capacità economiche di entrambi i genitori, nel momento presente. E soprattutto, non può trasformarsi in una condanna che leda la dignità del genitore obbligato.

Con questa recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riacceso i riflettori sulla delicata questione dell’assegno di mantenimento per i figli in caso di separazione. Il caso che ha innescato la pronuncia è davvero emblematico.

Il caso raccontato da “Il Messaggero”: la tassa di 600 euro

La vicenda raccontata da “Il Messaggero”, racconta di un padre separato il cui stipendio era sceso a 1.400 euro al mese, ma per la Corte d’Appello era ancora tenuto a versare 600 euro alla figlia a titolo di mantenimento. Si tratta di una cifra pari a quasi la metà del suo stipendio, una totale che, di fatto, lo avrebbe lasciato con soli 800 euro per vivere, pagare l’affitto, le bollette e spese dell’auto. 

La Suprema Corte ha chiarito che l’assegno di mantenimento non è una cifra immutabile né tantomeno una sorta di “punizione” per il genitore che si è allontanato dal nucleo familiare. Al contrario, è un contributo che deve essere giusto e sostenibile, sempre calibrato sulle effettive possibilità economiche di entrambi gli ex coniugi nel momento in cui viene calcolato o rivisto.

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La “scelta unilaterale” non è una colpa: la realtà economica prevale

Uno degli aspetti più criticati dalla Cassazione è stato il ragionamento della Corte d’Appello, che aveva considerato irrilevante il peggioramento economico del padre, in quanto frutto di una sua “scelta unilaterale” (quella di lasciare l’azienda di famiglia). La Suprema Corte ha chiarito che il compito del giudice non è esprimere un giudizio morale o “punire” le scelte di vita o professionali di un genitore.

Al contrario, il giudice deve fotografare la realtà economica attuale delle parti e, su quella base, applicare la legge. Solo nel caso in cui si dimostri che il cambio di lavoro sia un atto fraudolento per sottrarsi agli obblighi di mantenimento (circostanza non emersa in questo caso), il giudice può agire diversamente.