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Torino, il mistero della lapide nascosta in via Alfieri

È probabile che la stele in marmo, al civico 9, sia stata fatta apporre dal cardinal Maurizio di Savoia, a ricordo di un’antica chiesa un tempo esistente fuori le mura, poi caduta in rovina, e fatta ricostruire dallo stesso prelato sabaudo in centro città

TORINO. C’è una misteriosa lapide nell’atrio di un nobile palazzo di via Alfieri, al civico 9, alla base dello scalone aulico. È datata 1650. Essa riporta un’incisione di otto righe: alcune delle parole sono state abrase o cancellate dal tempo, ed è scritta in un latino non troppo accademico. Riportiamo qui di seguito una verosimile traduzione (i puntini indicano quelle parti del testo che non sono più decifrabili e che sono posizionate diffusamente nella lapide):

“Nell’anno della Salvezza 1650, Maurizio principe di Savoia dedicò alla clementissima Vergine, speranza dei penitenti e… delle persone pie, questo tempio iniziato e (poi) caduto in rovina con la guerra… trasferito entro le mura della città perché venisse conservato ciò che con tanta pietà era stato realizzato”.

Certo la lapide doveva commemorare un evento molto importante: probabilmente la ricostruzione di una chiesa, che forse un tempo sorgeva fuori delle mura della città e che il cardinal Maurizio aveva voluto celebrare e far ricostruire in una zona più centrale. Dove fosse ubicata la vecchia chiesa, e dove fu fatta ricostruire quella nuova, non ci è dato di saperlo. La questione, alquanto curiosa, rimane dunque avvolta nel mistero.

Il cardinal Maurizio di Savoia

Ciò che invece ci è dato di conoscere è la figura di Maurizio di Savoia, il prelato che ordinò a qualche scalpellino dell’epoca di incidere e posizionare la lapide, che oggi si trova in un luogo probabilmente diverso da quello originario. Chi l’abbia spostata, se davvero è stata spostata, non si sa.

Maurizio di Savoia era figlio cadetto di Carlo Emanuele I, duca di Savoia, e di Caterina Michela d’Asburgo. Fu avviato giovanissimo alla carriera ecclesiastica, ma per motivi meramente politici, tant’è che in realtà non prese mai i voti (fu nominato cardinale all’età di 15 anni). Successivamente, divenne vescovo di Vercelli. Ricevette la nomina di protettore di Francia presso la Santa Sede. Fu tra i partecipanti al Conclave del 1623, in cui venne eletto papa Urbano VIII.

Dopo il trattato di Rivoli (1634), si schierò con gli Spagnoli, che gli concessero l’analoga carica che già gli fu attribuita per la Francia, quella di protettore di Spagna. Alla morte del fratello Vittorio Amedeo I, duca di Savoia, il cardinal Maurizio si schierò al fianco del fratello Tommaso Francesco, principe di Carignano, contro la vedova Cristina di Borbone-Francia, che dirigeva il Ducato col titolo di reggente, prima in nome del figlio Francesco Giacinto e poi, alla prematura morte di quest’ultimo, in nome del giovanissimo Carlo Emanuele II, che legittimamente gli succedeva in linea ereditaria. A quel tempo, la nobiltà, l’alta borghesia e il clero pendevano in misura equilibrata tra due fazioni opposte: i cosiddetti principisti, filo spagnoli e sostenitori del principe Tommaso, e i madamisti, filo-francesi e sostenitori della Madama reale, come veniva chiamata la reggente Christine Marie di Francia.

Il volume “Epigrafi sui Palazzi di Torino” edito da Monginevro Cultura

Nell’agosto del 1639, Torino era ormai controllata dalle truppe principiste, guidate dal ccardinal Maurizio e dal principe Tommaso, e Cristina, con il figlioletto Carlo Emanuele, fu costretta a fuggire dalla città. Tuttavia, pochi mesi dopo, la reggente ed il piccolo futuro duca poterono nuovamente tornare a Torino, liberata dalle truppe avversarie e “usurpatrici” con l’aiuto delle truppe francesi, comandate del marchese d’Harcourt. Nel 1642, da buon diplomatico, il cardinal Maurizio negoziò un accordo con la cognata Cristina, ottenendo la luogotenenza di Nizza e addirittura la mano della tredicenne nipote, Luisa Cristina di Savoia, figlia della stessa Cristina e del defunto fratello Vittorio Amedeo I, che sposò dopo aver caldeggiato e ottenuto la necessaria dispensa papale. Lasciata poi definitivamente la porpora cardinalizia, si dedicò a studi filosofici e letterari.

Morì nell’odierna Villa della Regina, sulla collina torinese, senza lasciare eredi. La salma è stata tumulata alla Sacra di San Michele. E con la salma, forse, anche il piccolo segreto della lapide di Via Alfieri.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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