Bye bye Alba: non sei più la capitale del tartufo bianco | Il più buono lo fanno in questo paesino disperso

Tartufo di Alba (web) - piemontetopnews.it
Se pensate al tartufo bianco, la prima città che vi viene in mente è sicuramente Alba, per anni è stata la regina indiscussa e il simbolo di un’eccellenza italiana amata in tutto il mondo.
Ma cosa succederebbe se vi dicessimo che le cose stanno cambiando?
E se il tartufo più pregiato, quello che fa impazzire i veri intenditori, non provenisse più dalla celebre capitale langarola, bensì da un luogo che non immaginereste mai?
Siate pronti a rivedere le vostre certezze sul re della tavola: un paesino “disperso” sta per riscrivere la storia del tartufo bianco.
Continuate a leggere per scoprire dove si nasconde il vero gioiello culinario d’Italia.
Un tesoro non così misterioso
Il tartufo è un fungo ipogeo che fa parte delle tuberacee, aspetto che fa cadere in errore tutti quelli che lo definiscono tubero come fosse una patata. Tutti sanno che può essere Nero o Bianco, yin e yang del cibo perché l’uno non può esistere senza l’altro, al di là delle rispettive peculiarità. Il tartufo nero sarà pure meno nobile (ma quello invernale è definito pregiato) però si presta benissimo a entrare nelle ricette, mentre il bianco si usa solo a crudo e su pochi piatti.
Il Nero ha un prezzo decisamente più accessibile, visto che bastano pochi grammi per farne ingrediente: quello di Norcia, che per gli esperti è il migliore e la cui stagione va da dicembre a marzo, costa tra gli 800 e i 1500 euro al kg. Il Bianco – quello di Alba, da sempre il numero uno della categoria – in stagioni dove è raro come queste arriva a costare oltre 5mila euro al kg nella pezzatura da 20 a 50 g e anche 7500 euro nella pezzatura superiore.
Oltre Alba
Di buoni tartufi è ricca l’Italia intera. Dal Piemonte alla Calabria, passando per Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise, si stima che siano oltre 100mila i raccoglitori ufficiali che riforniscono negozi e ristoranti, alimentando un giro d’affari di mezzo miliardo di euro, compreso l’indotto. Ne guadagnano tanti operatori anche lontani dalle zone di produzione (basti pensare a cuochi e patron che propongono invariabilmente un menù a base di tartufo), ma soprattutto le Città del Tartufo, associazione che comprende ben 50 località.
Non c’è solo Alba, dunque. Per esempio, tra le perle meno note ma non meno importanti troviamo Moncalvo nell’Astigiano, Calestano nel Parmense, Borgofranco sul Po al confine tra le province di Mantova e Piacenza (dove sorge un piccolo e curato Museo del Tartufo), Bondeno e Sant’Agostino nel Ferrarese, Sant’Agata Feltria nel Riminese. Poi la spina dorsale dell’Appennino Centrale con San Miniato e Volterra nel Pistoiese, San Giovanni d’Asso nel Senese, Fabro nei pressi di Terni e quattro località in provincia di Perugia, dove il Nero Pregiato è grande protagonista, quali Città di Castello, Gubbio, Valtopina e Pietralunga.