AMARCORD di Mino Rosso

imparare ad avvitare la vita con cacciavite e chiave fissa

sono ritornato indietro nel tempo. nel dopoguerra. ai primi miei ricordi su come giocavo e vivevo. di qui questi tre racconti, scritti in prima persona, rivolti ai miei anni ‘40.  ho scelto di illustrarli riportando gli oggetti di allora, nel modo più fedele possibile. come li ricordo impigliati nelle ragnatele della memoria, o perché, in parte, possiedo ancora. vale la pena ricordare che in quegli anni anche i pochi giocattoli che si ricevevano in dono erano finalizzati all’inserimento nel mondo del lavoro. ecco il secondo giocattolo per diventare da grande un meccanico: il meccano.

a dire la verità non so proprio come il meccano mi sia arrivato. boh. me l’avrà regalato qualcuno. non so chi. però lo ricordo proprio. ricordo il tanto tempo passato a costruire improbabili macchine fantastiche. mah. di sicuro era un meccano con il numero piccolo. che vuole dire con pochi pezzi beh. era uno di quelli che costava di meno. non eravamo ricchi e già avere quello era un sogno. se i pezzi non bastavano a costruire quello che avevamo pensato bisognava immaginarsi quello che mancava. gesù. un bel esercizio per la fantasia. ma quando si è costretti a… sì. quel meccano è stata la chiave per entrare nel mondo della meccanica. anche se io amavo di più il legno. era più facile da piegare ai miei sogni.

però la realtà ti costringe sempre a cambiare. così dall’amicizia con il meccano sono passato a quella con martello, pinze, chiave inglese e persino calibro. sì. calibro decimale. io non ho mai avuto un triciclo o una bici con le rotelline. beh. non so cosa avrei dato per avere 3 cuscinetti a sfere. erano per fare il mio tzarettoun. che non ho mai avuto. già. ho subito avuto una bici (specie di bici) grande. da uomo. tanto grande che impari ad andarci su pedalando di sbieco sotto il tubo centrale. con la bici inclinata. come facessi non lo so. so che lo facevo. è in quel periodo che divenni un ciclista. cioè uno che ripara bici. già perché era sempre rotta. ma pazienza. l’avevo dipinta con il pennello in verde. credo fosse l’unica vernice che avevo. per avere la motocicletta bastava una cartolina e una pinza da biancheria. già. la cartolina veniva pinzata sulla forcella di dietro. e quando la ruota girava i raggi ci sbattevano contro.

poi anche qui tutto cambiò quando ritornai a torino. via sant’agostino. vicino a porta palazzo. ma non subito. anche se ora la bici me la aggiustava il gommista. non ricordo più il nome. so solo che ci aggiustava anche il pallone che aveva la camera d’aria. un giorno si suicidò. non era comunque il solo ad averlo fatto. anche il saltatore in alto con una gamba sola (l’altra l’aveva persa in guerra) poco dopo lo aveva seguito. il saltatore, come maciste, lo vedevo ogni domenica a porta palazzo. dopo la messa si andava in piazza per assistere allo spettacolo di un circo di malconci attori. il saltatore con il suo “salto da campione del mondo” (ricordo un salto sui 2 m) e maciste che, coricato a terra, si faceva spaccare con una mazza la lastra di pietra posata sollo stomaco. credo fossero amici. io li vedevo sempre in osteria. quando andavo a comprare il vino con il bottiglione. che però durava quasi un mese. però la meccanica (quella più seria. meno casalinga) arrivò con la scuola superiore. prima aggiustaggio poi lavorazioni meccaniche (tornio, fresa, saldatura, fucina). mi porto ancora dentro l’ansia del blu di metilene. quando, dopo l’ultima passata con il triangolino (lima triangolare a grana fine), si controllava il piano del capolavoro. sì. si chiamava così il cubetto in ferro che dovevi mettere in squadro. poi veniva valutato dal professore. non ricordo più come si chiamasse. poco importa. vabbè. anche questa era fatta. e durante le vacanze (pochi km da torino) a imparare a usare la pulissoira.

sull’alluminio. poi anche qui come sempre accade. sono cresciuto. anche se gli altri non mi credono. e son persino diventato un corridore in macchina. per davvero. certo da poco. ma intanto… e la macchina (una 500. di quelle vecchie. 1968) la preparavo io. che non è poco. ma la mia testa era rimasta legata alle costruzioni. meccaniche. quelle che si potevano montare e smontare. ancora adesso provo a progettarne qualcuna. mentre calder se la ride.

Note

tzarettoun – In Piemonte erano dei rudimentali carretti costituiti da una tavola di legno montata su cuscinetti a sfera. Nel dopoguerra di regola i cuscinetti erano tre, due posteriori e uno anteriore che poteva ruotare tramite una barra che serviva da sterzo. 
pulissoira(piemontese – pulitrice) – Mola pulitrice – lucidatrice con spazzole circolari dischi in feltro o tela.
calder – Alexander Calder (1898-1976) scultore statunitense famoso per le opere di scultura definite “mobile” e “stabile”.

Mino Rosso

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