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Antichi mestieri: il falegname, ovvero il “mèist da bòsch”

Quei vecchi e dimenticati attrezzi da “minusié” che oggi son diventati degli “oggetti misteriosi”

Da che mondo è mondo, ogni mestiere ha sempre avuto un lessico specifico per chi lo svolgeva, una sorta di vocabolario gergale circoscritto e inequivocabile. In fondo ancor oggi è così: i tecnici informatici, ad esempio, parlano tra loro praticamente una lingua in codice, nota a pochi adepti, che pare assolutamente astrusa e impenetrabile ai più. In una lingua con termini parimenti specifici e spesso non intelligibili ai comuni mortali, si esprimono pure i medici, i legulei, chi opera nella finanza, e persino (anzi: forse… soprattutto) i politici.

Nelle antiche fabbriche, officine e bòite torinesi della prima metà del Novecento, città dalla vocazione industriale esplosa nei decenni finali del XIX secolo, lì si parlava solo piemontese, e i giovani apprendisti dovevano “apprendere”, oltre che le malizie e i segreti del mestiere, anche il corretto nome di ogni attrezzo, utensile o strumento e dovevano fin da subito imparare i verbi o i modi di dire che identificavano un processo o una fase particolare della lavorazione.

Anche il vetraio aveva il suo vocabolario specifico per indicare gli attrezzi, le tecniche di incisione del vetro, il montaggio delle lastre, così come ne aveva uno il materassaio, un altro l’aveva il meccanico, e pure il tappezziere, il giardiniere, lo stagnino, il mulitta, il cuoco in cucina, e così via…

Naturalmente esisteva un vocabolario gergale anche per chi svolgeva il mestiere di falegname, o meglio di minusiere (minusié), o di mèistr – o mèist – da bosch (cioè maestro della lavorazione del legno). Le bòite, le officine, i laboratori e le botteghe erano in effetti delle scuole professionali d’altissimo livello e i titolari o i capisquadra erano considerati con rispetto e riconoscenza dei maestri, dai quali l’apprendista aveva l’opportunità e il privilegio di imparare, un po’ alla volta, con umiltà e pazienza, tutti i più reconditi segreti del mestiere.

Il problema è che questi antichi mestieri sono oggi pressoché scomparsi, e non tanto perché la gente non ha più bisogno di falegnami, impagliatori di sedie, stagnini, ombrellai e così via, ma perché le nuove generazioni hanno da tempo disdegnato di impratichirsi in attività lavorative considerate poco nobili, dimenticando che si tratta invece di mestieri gratificanti e creativi e che richiedono una genialità d’artista. Ma tant’è. Un altro aspetto del problema è che, scomparsi quasi del tutto questi mestieri ormai da molti decenni, se ne sta perdendo pure la memoria storica, e se ci dovesse capitare tra le mani un antico attrezzo d’epoca usato dai nostri nonni o dai nostri bisnonni, lo considereremmo a tutti gli effetti un “oggetto misterioso” di difficile identificazione.

Facciamo adesso un tentativo, in forma di gioco, e mettiamoci alla prova: nella foto qui sotto compare un “kit” di antichi attrezzi tipici da falegname. L’ho trovato appeso ad un muro di una casa un po’ fatiscente di Lanzo Torinese, sulla strada che conduce a Piazza Federico Albert. Forse San Giuseppe li saprebbe nominare uno ad uno, ma per molti di noi, me compreso, l’impresa appare piuttosto impegnativa. Ad ognuno di essi ho attribuito un numero: provate ad abbinare ‒ ad ogni numero ‒ l’esatto nome dell’attrezzo. Se ne identificate almeno la metà (sono 14 in tutto), tanto di cappello!

Non certo da solo, ma con l’aiuto di amici, vecchi esperti del mestiere e moderni bricoleur io sono riuscito a identificarne 11.

Rimangono molti dubbi per gli oggetti n° 6 e 7 e qualche incertezza per l’oggetto n° 12. Ed ecco, qui di seguito, riepilogate le più accreditate soluzioni:
1. Raspa o Gratacàmole, o Lima
2. Novlòt o Tinivlòt
3. Nivela, o Tinivela, o Pontareul
4. Martel ëd j’onge (con doi còrn për ranché ij ciò)
5. Splor, Cotel a doi man-i
6. Attrezzo non identificato
7. Attrezzo non identificato
8. Sgòrbia (an italian: scalpello a sgorbia)
9. Gratacan
10. Girabarchin o Virabarchin
11. Ghiòm o Ghiòimo (an italian: Sponderuola), Vërlòpa, o Rabòt
12. Cita sgòrbia
13. Strompor
14. Piala, Fracass, Varlòpa o Vërlòpa (pialla lunga), o Rabòt da carpentié

Se avete scoperto il nome e la funzione degli attrezzi n° 6 e 7, oppure vi vengono in mente altri termini alternativi per gli altri oggetti esposti nella foto, potete scrivere alla redazione del giornale Piemonte Top News e noi aggiorneremo la lista: redazione@piemontetopnews.it

Sergio Donna

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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