Se sei troppo sportivo il capo ti manda a casa: licenziamento immediato se ti beccano | Uno dei pochi casi in cui lo sport fa male (al portafoglio)
Quando lo sport fa male al posto di lavoro - Piemontetopnews.it (Foto Pexels)
Altro che italiani popolo di sportivi: ci vogliono tutti campioni del mondo del divano, altrimenti addio lavoro.
Il lockdown è un ricordo per fortuna lontano per tutti gli italiani, così come per gli abitanti di tutte le altre nazioni che durante la pandemia di Coronavirus optarono per il pugno di ferro intimando di limitare il più possibile le uscite.
Eppure tanti di noi risentirono della clausura prolungata. Come dimenticare il fatto che bisognava munirsi di un’autocertificazione anche per andare a fare la spesa?
Perfino viaggiare in due sulla stessa auto era una pratica a rischio e la parola “congiunti” divenne una delle più gettonate nei dialoghi in famiglia o nelle chat WhatsApp tra amici e parenti, magari lontani.
Andare in tabaccheria ad acquistare le sigarette corrispondeva a un vero e proprio atto di coraggio. Se però c’era una cosa che si poteva fare liberamente era uscire per la cosiddetta attività fisica. E non a caso, in quei mesi milioni di italiani si riscoprirono podisti.
Fare attività fisica fa bene? Sì, ma occhio al contratto di lavoro…
Tra le sane abitudini mantenute da quel periodo, infatti, c’è proprio quella di dedicare più tempo all’attività fisica. Prima o dopo il lavoro, di buon mattino o la sera, una mezz’ora di corsa fa bene a corpo e mente.
Il popolo degli amanti del jogging è quindi rimasto numericamente elevato dopo essersi impennato un lustro fa. L’importante è scegliere quando, come e dove dedicarsi a tenere allenato il fisico. Ma, soprattutto, l’importante è ricordarsi bene qual è il lavoro che si svolge. Perché mens sana in corpore sano è sempre una buona idea. Ma da disoccupati, anche no…

Sport e social, l’accoppiata è imperfetta: lo ha detto la Cassazione
Ne sa qualcosa il “povero” dipendente dalla Johnson & Johnson, che si è ritrovato dall’oggi al domani a fronteggiare un provvedimento di licenziamento. Il motivo? Essere stato pizzicato dall’azienda mentre svolgeva sollevamento pesi, ignorando (o forse no) le limitazioni di natura fisica presenti nel proprio contratto di lavoro. La sentenza è stata dichiarata legittima dalla Cassazione per violazione dei doveri di fedeltà e correttezza.
Il dipendente era stato esonerato per ragioni fisiche dallo svolgimento di alcune mansioni lavorative, in particolare quelle che vietavano la movimentazione di carichi superiori ai 18 kg e di oggetti al di sopra dell’altezza della spalla. Va da sé che quando la ditta si accorse che l’uomo aveva svolto attività di personal trainer, con tanto di documentazione sui social network, la battaglia legale abbia preso il via. Il lavoratore aveva cercato di impugnare il provvedimento, sostenendo che i dati utilizzati per la contestazione fossero stati raccolti in violazione della normativa privacy, ma tribunale di primo grado e Corte d’Appello avevano rigettato l’obiezione, perché le immagini e i video pubblicati volontariamente su Instagram non rientravano in un ambito di vita privata tutelato. Essendo così venuto meno il vincolo fiduciario il licenziamento è da considerarsi legittimo. Addio stipendio fisso. Rimpianto quasi quanto non aver reso privato quell’account Instagram…
