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la mia è una storia strana, quella di un olio su tela 92×128 cm

beh, sì, lo so: questa è una storia strana. per davvero. almeno per me. è la mia. e così voglio raccontarla. forse agli occhi di molti sembrerà incredibile. non è così. già. è tutto vero. a volte il vero è meno immaginario di quanto si creda. o forse il contrario. non lo so. vabbè. allora io (credo sarebbe meglio dire i miei 92 per 128 centimetri) ho visto, cioè loro, hanno visto la luce nel 1845. sono vecchio. certo tanto vecchio qualcuno dirà. ma io non posso farci niente. sono uscito dai pennelli di francesco (gamba 1818-1885) solo quell’anno. data e firma i in basso a sinistra. va sapere come sono fatti gli artisti. sono sempre imprevedibili. forse gli sono venuto nella giovane testa solo allora. mah. tanto è così. lui, voglio dire francesco, non era ancora un noto pittore in quegli anni.

un paesaggista, perché dipingeva paesaggi. un po’ come quelli delle cartoline. ma più grandi. e a colori. prima ancora d’essere ben visto da re e regine. girava per l’europa intera con la sua tavolozza, pennelli, colori e tele, per dar vita ai suoi paesaggi. io non me ne intendo di colori a olio, però credo che lui amasse l’azzurro per via delle tante acque fissate nei suoi quadri. ma poi anche il verde. per gli alberi. beh, sono sempre in po’ strani questi artisti. ma non gli si può rimproverare mai niente. almeno, io non ci riesco. è più forte di me. va a sapere il motivo. forse ha ragione chi dice che sono fatto male. pazienza. mah. allora. ad un certo punto della mia vita mi sono ritrovato appeso ad un muro. del monferrato. non so come ci sono arrivato. ma intanto anche questo poco importa. avevo allora già forse più di 100 anni. beh, la casa, sì, lo posso dire, a me era sembrata un po’ fuori luogo. vero. un po’ troppo elegante per un borgo di paese. d’accordo, importante. per via del suo vino. ma però è sempre un paese. non che io ce l’abbia con chi riesce a mettere da parte qualche soldo.

beh, se fatti con il lavoro. lo dico perché non mi piace passare per uno che ama il denaro. comunque. è solo che il muro di quel pretenzioso salotto in barocchetto piemontese non lo sentivo mio. poi di lì non passa quasi mai nessuno. forse per paura si rovinasse. non che io abbia bisogno di essere ammirato. vabbè, io di narciso non sono neanche lontano parente. questo lo posso (e voglio) dire. mi sentivo come un cane in chiesa. gesù. ecco, non proprio. ma quasi. e quando dico quasi voglio proprio dire quasi. non so se qualcuno mi capisce. ma poco importa. a volte mi succede di non essere capito. ma non ne faccio una tragedia. poi in questo caso sono davvero chiaro: paesaggio del lago maggiore. vabbè. dopo (qui ci vuole una virgola), per una questione di eredità, mi sono ritrovato in una casa in collina. quella di torino. che è una grande città. e che francesco conosceva proprio bene. anche perché di casa nei palazzi dei re e delle regine. io non sono molto bravo in storia. sarà perché ho poca memoria. o forse sono solo troppo svogliato. però il re di quando sono nato era uno di quelli importanti. ricordo che si chiamava carlo alberto e anche che poi così è passato alla storia.

beh, devo dire che anche qui non mi trovavo proprio bene. lo so, sono un po’ difficile. è come se in me ci fosse la voglia di stare in mezzo alla gente più che rimanere chiuso in casa di qualche signore. non me la sento di fare da arredamento. e non lo dico tanto per dire. è difficile da spiegare. ma ci provo. tanto non ho niente da perdere. bene, ecco io penso di avere due anime. un bel guaio. una mi spinge a voler essere davanti agli occhi di tutti. come quando si cammina per strada. ecco, sì  ecco, vorrei essere in un museo. no, no, non per far soldi con il biglietto d’ingresso, ma essere ammirato. può darsi che io sia vanitoso. l’ho già detto prima. però non faccio male a nessuno. proprio nessuno. poi la gente potrebbe anche prendermi in giro. potrebbe dire che sono un paesaggio da poco. io non sono permaloso. su di me si può dire quello che si vuole. intanto non sono io che dico. ma loro che si leggono. vabbè anche su questa cosa ci sarebbe molto da dire. però a questo ci pensano già le zecche. quelli che lo fanno per mestiere. che non sono quelli che fanno arte. sono quelli che la discutono tirandola per le lunghe. beh, succede anche per altre cose. non ho vigilia di fare l’elenco. sarebbe lunghissimo. e poi io non me ho nessuna voglia di farlo.

gesù, mi stavo dimenticando della mia seconda anima. e pensare che già averne una sola è un problema. vabbè. questa seconda mi porterebbe a invece a vivere in qualche signorile salotto per attirare l’attenzione di chi mi passa davanti. lo so, potrebbero essere pochi. non sarebbe come al museo. ma intanto qualcuno davanti mi passerebbe. magari ci passerebbe solo per caso. senza guardarmi. va a sapere. o forse è solo distratto. non si capisce mai cosa succede a questo mondo. almeno io non capisco. beh, così, dando retta a queste, sono finito in un bel palazzo che si chiama accademia delle belle arti. un posto importante. dove francesco aveva persino insegnato. avrei potuto essere esposto per un po’ di anni perché ci sono arrivato senza che loro abbiano speso un soldo.

ma spesso le cose non vanno come noi vorremmo. gli spazi erano quel che erano. e così per me e la mia cornice (siamo nati insieme. lei, in legno, scolpito da un artigiano scultore) non c’è stato posto. mah, mi viene da pensare che al mondo ci si dimentica sempre in fretta quello chi sei stato. però lì vengo a sapere che francesco era ricco. non so se lo era o  fosse diventato. poco importa ad aosta (quella della valle) aveva un castello che poi ha regalato per farne un museo. ora il museo lo hanno fatto. e io mi sarei trovato benissimo lì. dico sarei perché anche qui non si è trovato un muro disposto ad accogliermi. sempre senza pagare la mia esposizione per anni. mah. si vede che questo non è il periodo giusto per me. pazienza. e adesso mi ritorna in mente il solito problema. così ritorno al punto di partenza. uffa. non voglio rinunciare a farmi vedere da tanti. come in un museo. o qualcosa del genere. ma così come stanno le cose penso che finirò in una qualche casa. di chissà chi. boh. forse uno che mi vuole per fare dei soldi. però se sono fortunato magari lui mi ammira per davvero.  vabbè.  non mi resta che aspettare. sperando di non finire male. lo so, il mondo va così. a volte si parte con le grandi idee ma poi bisogna anche sapersi adattare. cambiare strada. in fondo non è una brutta cosa. mah.

però se ci penso preferisco essere appeso in un salotto che finire nella buia  cantina di un qualche museo. uffa. dovrei di nuovo rinunciare a me stesso.  pazienza. di troppo rigore di muore. lo so, l’ho già detto, me lo sono già detto, più volte. gesù. per ora però il mio futuro rimane appeso ad point d’interrogation (punto interrogativo). come dicono gli inglesi. e come sempre.

                                                                                    mino rosso

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