La crescita costante degli orti urbani: dove sono e come funzionano
TORINO. Il passato che ritorna lo fa non solo attraverso i capi d’abbigliamento, ma anche grazie alle tradizioni. In questo caso protagonista è l’orto, già da alcuni anni presente in numerose centri per iniziative cittadine e delle amministrazioni comunali, proprietarie, quest’ultime, degli spazi verdi assegnati in affitto ai cittadini per la coltivazione di fiori, frutta e ortaggi. Nello specifico hanno ripreso importanza orti urbani e didattici, coltivati spesso in aree periferiche abbandonate, oppure su balconi, o nei cortili delle scuole, come attività didattica, ma anche in vasi posti sui davanzali delle aule.
Questo succede pure a Torino, dove l’orto, che ha una storia antica, rimanda a un modo di vivere e nutrirsi sano, oltre a contribuire, da un punto di vista terapeutico detto “ortoterapia”, a reagire positivamente in situazioni di depressione, tossicodipendenza, solitudine. Una nuova tendenza, quindi, che si sta sempre più diffondendo, tanto che la città vanta il primato di essere tra quelle che più di altre hanno promosso lo sviluppo dell’agricoltura sul proprio territorio. Condivisione e partecipazione attiva sono le parole chiave di gruppi come, ad esempio, il “Badili Badola Guerrilla Gardening Torino”, autofinanziato, apartitico e apolitico, nato nel 2007, impegnato a combattere il degrado urbano e a diffondere cultura e rispetto della natura attraverso iniziative di attivismo urbano dal basso e d’intervento, manutenzione e ripristino del verde pubblico.


La Storia racconta che nel Bel Paese furono decisive per l’agricoltura urbana le politiche fasciste. Lo scopo era quello di ridurre le importazioni di frumento dall’estero, le quali determinarono nel ventennio la “battaglia del grano”. La propaganda fascista indusse la popolazione a coltivare per produrre, e i campi di grano cominciarono a rivestire prima le campagne, e in seguito a penetrare nelle città. Si definì la possibilità di coltivare anche le aree fabbricabili nelle città e di convertire i giardini in orti e campi di frumento, in luoghi come, oltre a Milano e Roma, piazza San Carlo a Torino, tra le prime grandi città nell’osservanza dell’imperativo del Duce, al motto “Non un lembo di terreno incolto”. In tempo di guerra, infatti, l’orto fu promosso con forza dalla stampa di regime attraverso lo slogan “seminare ogni zolla”.
