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I “Cicio ‘d Pera” di Villar San Costanzo in Val Maira, un angolo di Cappadocia in Piemonte

VILLAR SAN COSTANZO. I Cicio (o Ciciu) ‘d Pera dël Vilar, letteralmente pupazzi di pietra, sono singolari formazioni geologiche site all’imbocco della Val Maira, nel territorio di Villar San Costanzo, attualmente protetti da una Riserva naturale istituita nel 1989. Classificati come “piramidi di terra” o “colonne d’erosione”, i Cicio del Vilar sono formati da una colonna di terra compatta frammista a ciottoli sormontata da un grande masso di gneiss occhiadino (roccia di origine magmatica tipica del massiccio Dora-Maira).

Più simili per forma a funghi porcini che a dei fantocci, i Cicio, recensiti dal ricercatore Alberto Costamagna dall’Università di Torino nel numero di 479, presero forma 12.000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione, per l’azione erosiva dell’acqua che, scorrendo a valle lungo le pareti del conoide alluvionale formatosi in precedenza, trascinò lentamente con sé terra e detriti, incontrando come unico ostacolo le zone di terreno compattato presenti in corrispondenza dei grandi massi discesi dalla montagna per l’effetto di terremoti e crolli. L’esito finale è quello che oggi osserviamo: la formazione di pilastri di terra preservati dall’azione erosiva dell’acqua e sovrastati da un “cappello” di pietra.

I Cicio dël Vilar, per l’ambiente (conoide alluvionale) e il modo in cui si formarono, sono considerati dai geologi come fenomeni unici al mondo, paragonabili soltanto ai Camini delle Fate in Cappadocia, che assomigliano ai primi per la forma, ma differiscono sia per il materiale (tufo vulcanico), sia per la dinamica che li ha generati (non l’azione erosiva dell’acqua, bensì la corrosione del forte vento). La singolarità di queste formazioni, inspiegabili agli occhi dell’uomo dell’Antichità, che li fece oggetto di culti litolatrici pre-cristiani, allo stesso modo dei grandi massi erratici della bassa Valsusa, consentì alla tradizione medioevale di collegarli alla figura del martire cristiano Costanzo, molto venerato in queste zone, interpretandoli come testimonianza del suo operare in loco.

Nel 1585 San Costanzo venne proclamato insieme con San Chiaffredo patrono della diocesi saluzzese e più tardi ascritto dal gesuita Guglielmo Baldessano (1543-1611) alla Legione Tebea, contingente militare romano composto da soldati d’origine egizia che, stando ad Eucherio vescovo di Lione, vennero martirizzati per la fede cristiana tra il 286 e il 302 per ordine di Massimiano. Arruolato tra i martiri tebei, Costanzo entrò nel santorale di Casa Savoia, legittimando così, anche sotto il profilo religioso, l’integrazione del marchesato di Saluzzo nei domini sabaudi, formalizzata con il Trattato di Lione del 1601.

Secondo la tradizione Costanzo, scampato con altri commilitoni al massacro, riparò in val Maira, ma qui, nel luogo ove poi sorse il Santuario di San Costanzo al Monte, subì nel 303 il martirio per decapitazione (resti della lastra sepolcrale del martire, consunta dal contatto con le mani dei fedeli, sono conservati nella ex chiesa abbaziale di Villar San Costanzo). I Cicio ‘d Pera vennero così interpretati dalla leggenda come segni del suo passaggio: Costanzo, inseguito dai persecutori, li avrebbe tramutati nei pupazzi di pietra. Rimane però discordanza tra le fonti sull’identità dei pietrificati. Per alcune sarebbero gli abitanti del luogo, che odiavano Costanzo perché pagani, per altre i militari romani inviati per sterminare i legionari Tebei sopravvissuti.

A poca distanza dalla Riserva naturale che protegge i Cicio d’Pera sono visitabili altri due luoghi che la tradizione e l’agiografia cristiana hanno legato al martire Costanzo: l’ex abbazia di Villar San Costanzo, ora chiesa parrocchiale, e il santuario di San Costanzo al Monte, entrambi fondati in epoca longobarda, forse nel 712, regnante Ariperto II, e ricostruiti dopo le devastazioni saracene del X secolo. L’ex-chiesa abbaziale del Villar, riedificata nel Settecento su disegno del monregalese Francesco Gallo, custodisce, oltre alla cripta risalente all’XI secolo, uno scrigno d’arte, la cappella funeraria dell’abate Giorgio Costanzia (1467/69). Al centro della cappella si trova il sarcofago di Costanzia e alle pareti affreschi di Pietro da Saluzzo che, tra attardamenti gotici e influssi rinascimentali, rappresentano le storie della vita e del martirio di San Giorgio, santo sauroctono, uccisore del drago.

Gli affreschi di Pietro da Saluzzo nell’ex chiesa abbaziale. Il sevizio fotografico è di Roberto Beltramo

Il Santuario di San Costanzo al Monte, eretto fra i boschi del monte San Bernardo sul luogo di un più antico sacellum, costruito nel IV secolo per onorare la memoria di San Costanzo qui martirizzato, risalta per la struttura a piani sovrapposti, con l’ampia cripta concepita come una chiesa sotterranea, per l’apparato scultoreo, in parte di gusto barbarico-longobardo, in parte d’impronta lombarda, per via delle maestranze comacine operanti dal 1190, e per le tre eleganti absidi in gneiss grigio scandite da lesene e coronate da gallerie cieche. All’interno del santuario i bassorilievi con girali intercalati a foglie di vite, oltre agli evidenti richiami alla simbologia biblica, evocano la stretta relazione tra presenza monastica e espansione della vite in Occidente. Furono proprio le esigenze dettate dalla liturgia, in particolare l’uso del vino nell’eucaristia, a favorire la propagazione della vite e a dare origine alla viticoltura monastica come fattore di diffusione della cultura del vino in Occidente.

Il Santuario di San Costanzo al Monte

Nell’area della bassa Val Maira, tra i comuni di Dronero e Villar San Costanzo, troviamo un esempio concreto di questo apporto monastico allo sviluppo della viticoltura. In zona è presente infatti una piccola produzione d’un vino raro, il Droné, ricavato da uve Nebbiolo di Dronero, vitigno affine allo Chatus francese la cui introduzione in loco viene collegata proprio ai monaci benedettini del Villar. L’azienda Mauro Vini di Dronero propone ancor oggi il suo Droné rosso, ottenuto dall’80% di uve Nebbiolo di Dronero in concorrenza con un 20% di varietà locali.

Paolo Barosso

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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