Le prime notazioni scritte che documentano una postazione fortificata sul brich di Zumaglia, il cui toponimo è fatto derivare dal termine biellese zumaja, mammella, allusivo alla forma dell’altura, risalgono all’ultimo decennio del XIII secolo, anche se si ipotizza l’innesto della fortezza su edifici più antichi. Dopo una breve dipendenza dai signori di Buronzo, nella prima metà del XIV secolo il castello di Zumaglia, descritto dai cartari medioevali come possente e imprendibile fortezza quadrangolare, risulta appartenere ai vescovi di Vercelli, che fecero di Zumaglia uno dei cardini del sistema difensivo ideato per assicurarsi il controllo del biellese.
Gli eventi bellici di metà Cinquecento, con il Piemonte in gran parte occupato da spagnoli e francesi, travolsero anche il castello di Zumaglia che venne consegnato alla Francia, insieme con il castello di Gaglianico, a seguito del cambio di fronte di Filiberto Ferrero Fieschi, che aveva tradito il duca di Savoia. Il passaggio in mano francese espose Zumaglia alla successiva rappresaglia sabauda messa in atto nel 1558 dalle truppe imperiali al comando del capitano Cesare Maggi o De Mayo, che danneggiarono il castello in modo irreversibile.
Proprio in questo contesto s’inquadrano i fatti che videro come protagonista il capitano vercellese Giovanni Francesco Pecchio, fonte d’ispirazione per scrittori e poeti. Si tramanda che i francesi, esplorando le segrete della fortezza dopo essersi impadroniti della rocca, rimasero sorpresi trovandovi un uomo nudo in condizioni di estrema sofferenza. Il prigioniero rivelò la propria identità, qualificandosi come il capitano Pecchio e dichiarando che da ben diciotto anni si trovava lì recluso, all’insaputa di tutti, incarcerato per volere del signore di Zumaglia, il famigerato Filiberto Ferrero Fieschi, figura temuta per il dispotismo nei metodi di governo.
Il Ferrero Fieschi, allo scopo di allontanare da sé i sospetti, inscenò un assassinio, facendo trovare il cavallo del Pecchio con la gualdrappa macchiata di sangue e inducendo a credere che l’uomo d’armi fosse rimasto vittima d’una aggressione. La famiglia del Pecchio, ignara dei fatti, incolpò della scomparsa un uomo, ritenuto suo nemico, che venne indotto a confessare l’omicidio sotto tortura e poi messo a morte. Tutti quindi credettero che il Pecchio fosse morto assassinato e il capitano venne dimenticato: il patrimonio di famiglia si dissolse, tanto che, dopo la liberazione, il capitano dovette rivolgersi ai tribunali per rivendicare i beni venduti.
In ogni caso il capitano Pecchio, sfinito dalle privazioni patite (sulla lastra tombale si legge che, nel rivederlo, i vercellesi rimasero interdetti, credendo di vedere in lui il biblico Lazzaro), non sopravvisse per molto, spirando nel marzo 1567 e venendo inumato in una chiesa di Vercelli. Anche il marchese Ferrero Fieschi ebbe le sue sventure perché, al termine della guerra, ristabilitasi l’autorità sabauda in Piemonte, non riuscì a ottenere dai Francesi il risarcimento dei danni subiti dai suoi castelli e morì nel 1559 nel maniero canavesano di Foglizzo, ospite del genero.
La rinascita del castello di Zumaglia, in rovina dopo gli avvenimenti di metà Cinquecento, avvenne negli anni Trenta del Novecento grazie all’intraprendenza d’un imprenditore biellese, Vittorio Buratti, attivo nel settore della lavorazione della seta, che si distinse per l’attivismo politico, prima tra le fila del Partito Popolare, poi nel Partito Fascista. Nel 1933 Buratti acquistò il complesso di Villa La Malpenga a Vigliano Biellese e decise di avviare un ambizioso piano di riqualificazione della vicina collina di Zumaglia, che contemplava anche la ricostruzione in stile neo-medioevale del castello. Per i meriti acquisiti in ambito industriale, per l’opera di valorizzazione turistica e storica del territorio e per la bonifica di brich di Zumaglia, Vittorio Buratti ottenne dal re nel 1942 il titolo di “conte della Malpenga”, dal nome della famiglia che vantava diritti sul luogo sin dal XV secolo.
Questo aspetto legato al pensiero politico del tempo si coniuga però con la volontà di ridare vita al castello, ridotto a scarne vestigia, ricostituendone l’integrità architettonica, sebbene in modo non fedele al modello originale e con accenni a tradizioni architettoniche estranee a quella piemontese. L’edificio, che conserva della struttura medioevale i basamenti murari in pietra e la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, venne quindi ricostruito ex novo attorno alla già esistente torre quadrata, eretta nel 1870 per iniziativa del marchese Cantono Ceva. Si realizzò, unendolo alla torre per mezzo di un padiglione di collegamento, un grande salone, provvisto di camino monumentale e ornato alle pareti di affreschi che ripercorrono le fasi storiche salienti del castello. Alla base della torre si trova la cappella del Sacro Cuore con gli affreschi dei santi e beati di casa Savoia, omaggio alla storia del Piemonte e alla dinastia regnante, oggi in parte deteriorati dalle infiltrazioni di umidità.
La gestione del sito, visitabile la domenica, è affidata alla compagnia “Ars Teatrando”, che mette in scena spettacoli teatrali, rievocazioni e forme di intrattenimento culturale e che si occupa di valorizzare Brich Zumaglia in sinergia con l’associazione “Amici del Brich”, istituita con l’obiettivo di prendersi cura della collina e del parco proponendo visite guidate a piedi e a cavallo.
(le foto sono state messe gentilmente a disposizione da Carmine Arena e Ars Teatrando)