Cinquecento anni sono trascorsi da quella testimonianza documentale e il Freisa, coltivato quasi esclusivamente in Piemonte, con presenze in Argentina e California, dove venne introdotto da coloni piemontesi, si mantiene vivo e vitale, con cinque Doc – Freisa d’Asti, Freisa di Chieri, Langhe Freisa, Monferrato Freisa, Colli Tortonesi Freisa – che in tempi recenti hanno finalmente hanno deciso di unire le forze per una promozione congiunta.
La nobiltà del Freisa trova conferma nelle ricerche di Anna Schneider e Vincenzo
C’è da rilevare nei testi ampelografici dei secoli scorsi una certa discordanza di valutazioni sul vino Freisa, da alcuni giudicato “di lusso”, austero e longevo (Strucchi, 1895), non inferiore ai migliori rossi piemontesi, da altri addirittura “sgradevole, se non nocivo” (Gatta, 1835): una divergenza che può stupire, ma che si spiega considerando i tratti di rusticità del vitigno, resistente alle malattie e molto produttivo, caratteri apprezzati dai contadini che ne hanno favorito la diffusione anche in aree difficili, in cui le uve non maturavano al meglio.
Il Freisa poi, oltre alla maturazione medio-tardiva, presenta alti tannini e spiccata acidità: questa seconda caratteristica, oggi gestita con la conversione malolattica, che trasforma l’acido malico nel più morbido acido lattico, poteva dare vini aspri e disarmonici. Inoltre la ricchezza in colore e polifenoli, che assicura al vino struttura e longevità, ha fatto sì che in passato si adoperasse il Freisa per migliorare vini in cui questi caratteri difettavano, condannandolo a un ruolo secondario. Da queste premesse discende il convincimento ancora radicato che dal Freisa non possano derivare grandi vini, corposi e longevi, ma solo vini “leggeri e vivaci”.
La comparsa delle malattie crittogamiche determinò invece, specie con la ricostituzione post-fillossera dei vigneti, una preferenza per quest’uva, apprezzata per la resistenza e l’adattabilità, decretandone così una certa espansione. La sfida odierna dei produttori, supportati dal Consorzio del Freisa di Chieri e dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, è volta a ribaltare l’immagine del Freisa, sfruttando le grandi potenzialità del vitigno. E’ il caso di Cascina Gilli, attiva nell’area di Castelnuovo don Bosco, dove si ha la maggior concentrazione del Freisa d’Asti, artefice del progetto Arvelè, volto alla creazione di un Freisa di grande corpo, che evolve in barriques per almeno 8 mesi. Tra i vini di Cascina Gilli citiamo anche la Bonarda Sernù, ricavata da uve Bonarda vinificate in purezza, varietà su cui l’azienda ha molto investito: coltivata solo in Piemonte, la Bonarda è spesso confusa con altri vitigni che, pur portando lo stesso nome, presentano caratteri del tutto distinti, come la Croatina dell’Oltrepò Pavese, in loco chiamata tradizionalmente Bonarda.
Un’altra azienda che ha contribuito in modo significativo al rilancio del Freisa è
La rinascita del vigneto di Villa della Regina ha consentito alla capitale sabauda di riappropriarsi di un’antica tradizione, legata alla pratica della viticoltura sulle colline a ridosso della città, un tempo note come la Montagna di Torino, meta di villeggiatura da maggio a settembre per le famiglie agiate che d’estate amavano rifugiarsi nella frescura delle dimore collinari. Invalse presto l’abitudine presso i Torinesi di indicare tali residenze, composte da abitazione dei contadini, stalla, villa padronale e terreni coltivati, con il termine tuttora in uso di “vigne”, designando il complesso nella sua interezza con il nome d’una sua parte, minoritaria come estensione, ma essenziale per l’economia della piccola cellula produttiva.
La Villa della Regina, appartenente al circuito di residenze sabaude che fa da corona alla
L’ampia rosa di tipologie in cui è oggi disponibile il vino Freisa, secco, dolce, frizzante, superiore, spumante, non è più considerata un handicap, bensì un valore aggiunto. La tipologia v
La gestione di un vitigno come il Freisa esige attenzione: occorre che il grappolo raggiunga la piena maturazione, anche per abbassare l’acidità. Per ottenere vini meno aggressivi si ricorre poi a pratiche come il rigoverno, che impone di proseguire la fermentazione dopo la svinatura con l’aggiunta di uve “surmature”, cioè lasciate appassire sulla pianta o su graticci, in maniera tale da attivare in modo più rapido la conversione malolattica.