TORINO. Il 5 novembre 1928, il Tribunale Civile di Torino, ribaltava i risultati delle indagini condotte dalla questura e identificava in Mario Bruneri il cosiddetto Smemorato di Collegno. Si metteva così fine a una questione che aveva profondamente colpito l’opinione pubblica e la nascente moderna criminologia. Le bugie hanno le gambe corte, recita un proverbio che abbiamo sentito tante volte durante la nostra fanciullezza. Però, per la vicenda dello Smemorato di Collegno le gambe delle bugie non dovevano poi essere tanto corte, poiché solo nel 2014, con l’esame del DNA, si è aggiunta una parziale certezza alla già condivisa consapevolezza che lo Smemorato fosse effettivamente Mario Bruneri e non il professor Giulio Cannella. Un ossimoro in apparenza, ma che di fatto sorregge una vicenda che ha fatto discutere una generazione di italiani e, ancora oggi, continua a risultare contrappuntata da alcuni inquietanti interrogativi.
Ma ripercorriamo le fasi salienti di questa straordinaria storia che divise l’Italia. Tutto ha inizio nelle prime ore della mattina del 10 marzo 1926, nel cimitero ebraico di Torino, quando due guardiani sorprendono uno strano personaggio, oggi diremmo un “senza tetto”, che tenta di sottrarre un vaso di rame da una tomba. Immediatamente arrestato, l’uomo è condotto in Questura: si esprime con difficoltà, non conosce il suo nome, non ricorda nulla e soprattutto non sa spiegare la sua presenza nel cimitero di notte. Però si rivolgerà alla forza pubblica in dialetto piemontese: “monsù, ch’am ruvina nen. Ch’am fasa l’piasì ‘d lasseme andè”. Parole spontanee, senza un’apparente importanza, ma che di fatto saranno fondamentali per la loro caratura dialettale. Fortemente agitato, ma considerato più malato che criminale, per l’uomo non si aprono le porte del carcere in attesa di giudizio, ma quelle dell’ospedale psichiatrico di Collegno, dove viene preso in carico dai sanitari e identificato con il numero 44170: la sua unica identità per circa un anno.
I servizi giornalistici hanno effetti inaspettati: a Verona, Giulia Canella, moglie del professor Giulio Canella, riconosce nello Smemorato il marito, capitano della Brigate Ivrea inviata in Macedonia, dichiarato disperso il 25 novembre 1916 presso Bitola. Giulio Cannella, nativo di Padova (1881), era un noto letterato e docente, che a Verona dirigeva una istituto magistrale; fondatore (1909) con padre Agostino Gemelli della “Rivista di filosofia neoscolastica”, nel 1916 fu tra i fondatori del quotidiano cattolico “Corriere del mattino”. Nel 1913, si era unito in matrimonio con la cugina, Giulia Concetta Canella, quasi fanciulla e figlia di un possidente terriero, che aveva grossi investimenti in Brasile. Dall’unione nacquero due figli: Rita e Giuseppe. Richiamato nell’esercito con il grado di capitano, Cannella fu dichiarato disperso dal Ministero della guerra. Dopo oltre dieci anni, la moglie, potrebbe di riabbracciare l’uomo che credeva ormai definitivamente perduto. E così, il 5 marzo 1927, la donna parte alla volta di Collegno con il padre e i due figli. Appena giunta all’ospedale psichiatrico piemontese non ha dubbi: quell’uomo è il professor Giulio Canella. Il riconoscimento avviene anche in relazione al fatto che la fisionomia dello sconosciuto presenta rilevanti somiglianze con quella del professore, pur tenendo conto del tempo, della guerra e delle traversie passate. Anche se all’inizio lo Smemorato non sembra dare segni di interesse per la donna, dopo alcuni incontri lentamente nella sua mente pare si riaccenda la coscienza. Nel cuore di Giulia Cannella la speranza divenne lentamente certezza, comunque consegna alla polizia una fotografia del marito, perché si proceda nelle indagini. Il direttore del manicomio dimette lo Smemorato poiché “ritenuto identificato il soggetto, con provvedimento emesso ai sensi dell’articolo 3 della legge sui manicomi” e lo “affida alla sedicente moglie”, per un periodo di prova.
Mentre Mario cercava di avventurarsi nell’editoria, Camilla lavorò a servizio presso una famiglia milanese. In Camilla ci sentiamo di scorgere l’immagine di una donna che veramente seppe amare il Bruneri: fu la compagna degli anni difficili; anni comunque non privi di gocce di speranza alimentate dalle iniziative letterarie di Mario. Nell’insieme viene fuori un’esperienza che a prima vista pare rimandare a un’esistenza bohemienne: l’ex-tipografo che voleva passare dall’altra parte del tavolo dei caratteri di piombo e la compagna pronta a farsi donna di servizio per sorreggere le speranze di un uomo che aveva affidato alla carta stampata il proprio futuro, suggeriscono un’immagine ben lontana da quella grigia e fiacca, anche un po’ perversa, che i giornali hanno alimentato. Le testimonianze rilasciate al tribunale dalla Ghidini, e da altre persone non lasciano dubbi sull’identità dello Smemorato: si tratta proprio di Mario Bruneri.
L’identificazione abbatte quindi quanto sostenevano Giulia Canella e i suoi familiari, cioè l’ipotesi tendente a riconoscere nello sconosciuto ricoverato a Collegno il proprio congiunto che, dopo essere stato rilasciato da un campo di concentramento in Macedonia, era giunto travolto dall’amnesia fino al capoluogo piemontese. I Canella incaricano il tenente Giuseppe Parisi di investigare in privato per far luce sulla vicenda che, come è facile immaginare, a questo punto travolge la distinta famiglia veronese in uno scandalo di gente per bene. Per cercare di scoprire ulteriori informazioni sulla biografia dello Smemorato, al controllo dattiloscopico si affianca lo studio della morfologia del volto: una attenta verifica del profilo sinistro dello Smemorato, confrontata con la fotografia del Canella fornita dalla moglie, permette di stabilire che tra i due vi è una notevole differenza. Inoltre, attraverso la tecnica dello studio dei padiglioni auricolari – altamente innovativa per il periodo – i criminologi stabiliscono che vi sono ben diciassette punti differenti tra la fotografia di Canella e lo Smemorato.
Lo smemorato, che la signora Canella continua a considerare come il proprio marito, è riconosciuto dalla signora Bruneri e dal figlioletto come legittimo sposo e padre, anche se 44170, neo-Canella, non condivide il parere dei richiedenti e si riconosce nel professore veronese. Da parte sua, Giulia Canella, che si trova con due figli e neppure vedova, forse vede nel Giulio/Mario un’occasione per riprendere una vita familiare troppo presto interrotta? La famiglia Canella inizia una lunga trafila giudiziaria al fine di giungere alla conferma dell’identità dello Smemorato nella persona del professor Giulio Cannella. Una vicenda che coinvolse non solo gli organi competenti, ma che divenne oggetto di grande attenzione da parte degli italiani, divisi in due fazioni, anche in un’epoca in cui (forse per fortuna) non esistevano i talk show.
Molti i fatti collaterali e i coinvolgimenti che caratterizzano lo scontro a cui qui non possiamo neppure accennare, poiché richiederebbero centinaia di pagine. Di seguito proponiamo un quadro sintetico ma completo dei fatti giudiziari seguenti il riconoscimento del professor Cannella nello Smemorato da parte di Giulia Canella, ma smentito da parte dei familiari di Mario Bruneri:
- 28 dicembre 1927, il tribunale torinese, sulla base delle indagini della questura e delle perizie effettuate, emette un’ordinanza che non ritiene raggiunta
l’identificazione dello Smemorato e quindi ordina la scarcerazione di Mario Bruneri - Conseguente azione civile da parte della famiglia Bruneri per il riconoscimento dell’identità di Mario Bruneri nello Smemorato
- 5 novembre 1928, il Tribunale Civile di Torino, ribalta i risultati delle indagini condotte dalla questura e, dopo aver respinto le istanze dei Canella, identifica Mario Bruneri nello Smemorato. I Canella ricorrono in appello
- 7 agosto 1929 la Corte d’Appello di Torino, conferma la sentenza di primo grado. I Canella ricorrono alla Cassazione
- 11 marzo 1930 la Cassazione annulla la sentenza della Corte d’Appello ritenendo insufficiente la documentazione raccolta per il processo e troppo limitate di opportunità offerte ai Canella di addurre prove contrarie; rinvia gli atti alla Corte d’Appello di Firenze
- 1° maggio 1931 la Corte d’Appello di Firenze respinge la richiesta della famiglia Canella e conferma la sentenza di Torino
- 24 dicembre 1931 la Cassazione respinge il ricorso e conferma la sentenza di Firenze
- 1° maggio 1932, grazie ad un’amnistia, Mario Bruneri viene rilasciato dal carcere e nel mese di ottobre parte per Rio de Janeiro, dove è accolto nella famiglia Canella come Giulio; qui vive fino alla morte (12 dicembre 1941); il governo brasiliano registra lo Smemorato con il nome di Giulio Canella, mentre i quattro figli (due già della donna e di Giulio Cannella, quello teoricamente scomparso in Grecia) sono iscritti con il cognome Canella
- 1946 istanza di annullamento basata sulla legge che annullava le sentenze politiche emesse dalla magistratura fascista, viene comunque respinta
- 1964 ulteriore istanza di revisione del processo, presentata da Giuseppe Canella, figlio di Giulio e Giulia Cannella, che viene respinta.
In Brasile Canella/Bruneri si dedica allo studio della filosofia e scrive una serie di saggi; inviò anche alcune sue riflessioni a Pio XI, ottenendo risposte (con relativa benedizione) da parte della segreteria vaticana indirizzare all’ “Illu.mo dottor Giulio Canella”. Il processo trasformazione era quindi completato: l’anarchico e delinquente Bruneri era diventato l’intellettuale cattolico Bunella, avvolto da un’impenetrabile aura di ambiguità che, ancora oggi, comunque ne avvolge la memoria.
Per saperne di più: M. Centini, Il volto oscuro del Piemonte. Crimini e criminali d’altri tempi, Edizioni Yume.