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Modi di dire piemontesi: “E dàjla ch’a l’é un prèive”

E dàjla ch’a l’é un prèive è un’espressione tra le più caratteristiche e originali della lingua piemontese. Viene usata quando ci si trova di fronte ad una persona che finge di non comprendere le nostre argomentazioni e finisce costantemente per tornare  sullo stesso discorso, diventando di fatto insistente. Chi lo pronuncia accentua fortemente la parola dàjla sottintendendo un complemento oggetto la cui interpretazione è la chiave per la comprensione della frase pronunciata in un contesto leggermente persecutorio con una venatura ironica, il che farebbe pensare ad una origine che fa riferimento alle polemiche settecentesche ed ottocentesche di estrazione illuminista e volterriana in cui la responsabilità massima dei mali sociali veniva individuata nella Chiesa e nel clero.

La componente ironica rimanderebbe invece a un contesto favoloso dì tipo boccaccesco: sì tratterebbe, in altre parole, di una delle tante storie in cui i preti sono protagonisti. Secondo un altro filo interpretativo si potrebbe sostenere invece che il significato di insistenza nasca dalla considerazione che per quanto a lungo tu possa discutere, difficilmente riesci a spuntarla con il prete perché lui è più dotto, ha più argomenti, ne sa più di te. 

Sempre a proposito di preti, un altro modo di dire è Fé un café da prèive (fare un caffè da prete), ossia “fare un ottimo caffè”. La locuzione fa riferimento a una visione sociale in cui il clero è benestante e in particolare ama la buona tavola.

Tra i proverbi più noti vi è, sicuramente: Chi a fà come ël prèive a dis a va ‘n Paradis; chi a fà come ël prèive a fà a ca dël Diav a va. In pratica, chi fa come dice il prete va in Paradiso, chi si comporta come lui, invece, finisce dritto all’inferno.

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