COLLEGNO. Grazie ai resti di 63 individui conservati nel cimitero piemontese di Collegno e in quello ungherese di Szolad è stata ricostruita l’organizzazione sociale dei Longobardi. In che modo? Con l’analisi del Dna recuperato fra Italia e Ungheria. La ricerca internazionale pubblicata sulla rivista Nature Communications, è stata coordinata dall’università americana Stony Brook e condotta con la collaborazione fra genetisti, storici e archeologi; l’Italia ha partecipato con l’Università di Firenze. Merito del ritrovamento piemontese sono stati gli scavi per il comprensorio tecnico della Metropolitana e quelli per l’ampliamento del cimitero di Collegno che hanno portato in luce una necropoli gota, una longobarda e resti delle complesse trasformazioni del villaggio di capanne dell’alto medioevo.
Il Dna dei Longobardi recuperato a Collegno indica una comunità stabilita in Italia da molte generazioni. In entrambi i gruppi di individui ci sono poi prove di una mescolanza di gruppi dell’Europa centrale e settentrionale con altri dell’Europa meridionale e nord Europa con altre originarie del sud del continente. L’evoluzione sociale della comunità, nel villaggio di Collegno, segna la completa trasformazione “da guerrieri a contadini”: il gruppo elitario stanziato con compiti prevalentemente militari perde con il tempo il suo ruolo di controllo del territorio intorno alla sede del duca, diventando una comunità di semplici agricoltori, come dimostrano le carenze alimentari e gli stress da lavori pesanti impressi nei resti scheletrici. Tuttavia la consapevolezza del loro passato e il senso di appartenenza alla comunità sono provati dal fatto stesso che le loro tombe rioccupano le fasce rimaste libere nelle parti centrali del cimitero: erano trascorsi più di 130 anni, ma abitavano ancora nello stesso villaggio e continuavano a utilizzare la necropoli dove erano sepolti i loro avi, dei quali mantenevano la memoria e i segnacoli delle tombe.