Qual è stato il motivo per cui ha sentito la famosa “urgenza” di scrivere?
La mia “urgenza” nasce a sei anni, epoca in cui mi misero la prima penna stilografica in mano
L’umanità delle parole, attraverso le parole, cosa rappresenta per lei?
Le parole devono assomigliare a chi le pronuncia, e quando pronuncio parole dure, fredde, asettiche, anche tutto il mio corpo si adegua a quella comunicazione, ed immediatamente solleva un muro tra me ed il mio interlocutore. A volte è necessario, a volte è necessario l’esatto contrario, ovvero sforzarsi di avere parole morbide e accoglienti, soprattutto se ci si occupa di pazienti e delle loro malattie. Dinnanzi a parole gentili anche il mio corpo si adegua, il sorriso arriva spontaneo, la mimica facciale si rilassa, la gestualità si orienta e tende ad accogliere l’altro. Le parole umane oggi sono quelle che creano la relazione di fiducia necessaria per entrare in connessione con l’altro, che sia un ammalato, che sia un figlio, che sia un collega: se vuoi portare a casa un risultato positivo devi esporti prima di tutto tacendo e accogliendo le parole altrui, per poi rielaborare l’ascolto, e offrire spazio alla vera comunicazione.
È un’arte nuova, ma dal sapore antico, che riprende un modo di esercitare l’arte della cura rifondando il rapporto su una storia, quella del paziente, il quale, nel momento in cui entra nella fase acuta della malattia, vive inevitabilmente in una crisi esistenziale. Nasce così l’esigenza di raccontarsi, di parlare di sé, dei problemi e delle preoccupazioni di un’esistenza resa più fragile da un tale evento, e che richiede qualcuno che abbia competenze e tempo da dedicare al suo ascolto. La medicina narrativa si fonda su questi presupposti, sulla capacità di dialogo, virtù rara e preziosa, che ancora oggi rappresenta la “via maestra”.
Come ha vissuto il rapporto con gli altri fino a prima dei suoi manoscritti, e come si è trasformato in seguito?
Il rapporto con gli altri nella mia vita di bambina e adulta appassionata di scrittura è sempre stato il motore stesso delle narrazioni che sono diventate solo in seguito due esperimenti letterari. Senza gli altri, intesi come protagonisti delle narrazioni, credo che non avrei mai scritto neppure una frase. La scrittura per me è relazione con gli altri, da sempre, da quando raccontavo su un diario le mie storie di ragazzina ribelle, per poi entrare in connessione con il mondo social e le sue interazioni, fino alle narrazioni di cura del primo libro per arrivare ora ad una biografia che racconta esattamente la strada che ho percorso per arrivare alla scoperta che la vera protagonista assoluta della mia vita è stata la parola, non sono io.
Panda rei è quasi un motto ormai, molti colleghi medici e infermieri quando mi’incontrano nei corridoi dell’ospedale, mi salutano con un “Ciao Pandarei”. Panda rei è la mia macchina, la mia utilitaria, utile per arrivare dentro le storie di cura, una piccola autovettura che non ha prestazioni eccezionali, ma va dove deve arrivare, consuma poco, e non teme il maltempo e le avversità. “Panta rei” (aforisma del filosofo greco Eraclito) è anche la frase che mi disse un mio paziente, amico e coetaneo, la sera che mi salutò prima di spegnersi per sempre. “Tutto scorre”, e io correvo tutti i giorni su una Panda cercando di portare sollievo nelle case prima di un farmaco, una flebo, una medicazione. Tutto corre a volte troppo velocemente in un sistema salute che vorrebbe medici e infermieri come soldati in trincea pronti a vincere le malattie. Io preferisco combattere con le parole, quelle buone.
In “In principio fu Demostene”, il suo secondo manoscritto, è una narrazione in terza persona che pone l’autrice nella scomoda posizione di osservarsi con gli occhi di chi smette di giudicare. Ce ne parla?
Demostene era un oratore greco famoso per le sue arti comunicative, le famose filippiche, ma è stato anche un bambino balbuziente, e per arrivare a essere un fine oratore le aveva provate tutte, vincendo il suo disturbo della parola con qualche strategia fisica, e molta consapevolezza delle sue risorse. Anch’io le provai tutte, e quando non funzionavano prendevo carta e penna e tutto tornava a essere chiaro e facile. La mia vita, però, non è stata facile per niente: risolto il problema della parola ne arrivava un altro ben più grande ed affamato della mia attenzione: anoressia, bulimia, obesità. Sono stata soccorsa dalla scrittura: l’esercizio passato della narrazione mi aveva allenata a controllare le mie emozioni, e a tradurle in risorse. Il libro, quindi, racconta la mia vita attraverso la narrazione di una sorta di matriosca delle Langhe, che dà voce a cinque bambole, le quali, una dentro l’altra, escono dal racconto, svelando una vita fatta di grandi fatiche ma anche di meravigliosi cambiamenti.
Uno su tutti: abbiate rispetto delle persone che incontrate, soprattutto se sono anziani, perché lo diventeremo tutti, e se avremo insegnato ai giovani ad ascoltare i vecchi , a concedere loro il tempo di una chiacchierata, magari dinnanzi a un caffè, dimenticandoci la fretta e le procedure, avremo fatto del bene a noi stessi.
Dove si possono trovare i suoi libri?
“Panda rei” è disponibile in tutti i circuiti editoriali online, e sul sito dell’editore Bookabook. “In principio fu Demostene (e poi arrivò lei)” è attualmente in campagna di crowdpublishing presso il sito dell’editore Letteratura Alternativa Edizioni.
Progetti futuri?
Il 2019 inizierà con un nuovo progetto aziendale presso l’Azienda sanitaria per cui lavoro, che vedrà la stesura di uno strumento assistenziale chiamato “cartella parallela”, dove la narrazione diventerà il motore di ricerca di nuove ipotesi di cura per pazienti con diagnosi difficili.