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Una mostra fotografica per scoprire i cimiteri della valle Maira

DRONERO. Sabato 4 maggio a Dronero, negli spazi del Museo Civico Luigi Mallé, verrà inaugurata la mostra fotografica dal titolo Tra Terra e Cielo. Quattro fotografi raccontano i cimiteri della valle Maira, promossa da “Espaci Occitan” con il sostegno del Comune e curata da Ivana Mulatero e Stefania Riboli.

L’esposizione, in programma sino al 28 luglio, radunerà una serie di scatti fotografici realizzati da Roberto Beltramo, Diego Crestani, Enrica Fontana e Giorgio Rivoira, per raccontare attraverso le immagini i cimiteri della valle, partendo dal basso, tra Villar San Costanzo e Dronero, e proseguendo verso le quote più alte, sino ad Acceglio, l’ultimo comune. Le immagini, frutto di una paziente esplorazione condotta nell’arco di diversi mesi in 37 cimiteri situati nei comuni principali come nelle località più sperdute, alcuni ancora in uso, altri ormai inattivi o da tempo abbandonati, sono state raccolte nel libro “Tra Terra e Cielo”, pubblicato nel dicembre 2018 per i tipi di Polaris, casa editrice di Faenza specializzata nel settore delle guide di viaggio.

La scelta dell’editore non è stata causale: il tema del viaggio, infatti, appare strettamente connesso al leitmotiv della ricerca fotografica sui cimiteri valligiani, sia perché le immagini proposte consentono all’osservatore di apprezzare il fascino di questi luoghi, spesso incastonati in scenari naturali di rara bellezza, tra vedute alpestri, boschi, borgate di montagna e pascoli, colti nell’avvicendarsi delle stagioni e con qualsiasi condizione atmosferica, sia perché le “sepolture immortalate”, che mostrano vecchie lapidi, epigrafi, statue, cappelle funerarie e cripte, croci in legno e ferro battuto, consunte dalle intemperie e dall’inesorabile fluire del tempo, induce alla meditazione sull’ultimo viaggio, questa volta in senso spirituale e non fisico, che ciascun uomo è destinato a compiere quando la conclusione dell’esistenza terrena lo proietta nel mistero della morte, una dimensione che il materialismo oggi imperante impedisce di accettare e elaborare, relegandola ai margini dei nostri pensieri. Questo “allontanamento culturale” dall’idea della morte, come annota Ivana Mulatero, curatrice del Museo Mallé, è l’esito finale di un processo avviatosi due secoli or sono con l’affermarsi della visione illuministica in contrasto con la concezione cristiana della vita e dell’uomo.

Anche i quattro viandanti, autori delle foto esposte al Museo Mallé, hanno intrapreso il loro “viaggio di scoperta”, insieme fisico e spirituale, con l’intento di assicurare, tramite la documentazione fotografica, la memoria visiva di un patrimonio trascurato, quello dei cimiteri di montagna, che, in molti casi, è condannato a scomparire, per lo spopolamento dei villaggi montani, cadendo nell’oblio. L’effetto ottenuto, però, è anche quello di cambiare, in chi osserva queste foto, il modo con cui si percepisce il cimitero, che, lungi dall’essere soltanto il luogo della tristezza e del distacco, può essere guardato come un vero e proprio contenitore di ricordi, capace di restituirci, come in una sorta di “Spoon River” di val Maira, frammenti di vite vissute, cristallizzati nel tono scarno, essenziale e mai retorico, delle epigrafi, che ben rispecchia la mentalità e il modus vivendi delle popolazioni di montagna. Queste considerazioni rendono ancora più interessante la visita ai cimiteri di villaggi e città, che possono essere concepiti come uno specchio sulla cui superficie si riflette la civiltà d’un paese e di un popolo, gli usi e costumi, il passato degli abitanti.

Dunque, la mostra fotografica di Dronero è anche un invito a considerare in modo diverso gli spazi cimiteriali, secondo quanto indicato dallo scrittore e saggista bulgaro Elias Canetti: “Guardare le cose del mondo con gli occhi di quelli che non ci sono più per ritrovare le medesime cose del mondo più sacre”.

D’altronde, se si guarda all’etimologia della parola cimitero, dal latino coemeterium, si scopre che il termine non richiama affatto l’idea della perdita definitiva e del distacco senza appello, ma appare ricalcato, secondo l’interpretazione più diffusa, sul verbo greco koimao, nel significato di “addormentarsi”. Dunque il cimitero cristiano, diverso dalla “necropoli”, la città dei morti propria dei pagani, è il luogo in cui sono deposti, come scrive San Giovanni Crisostomo, vescovo e dottore della Chiesa, coloro che “non sono morti, ma si assopirono nel sonno e dormono”. Dopo l’avvento e il sacrificio di Gesù, la morte per i Cristiani non si chiama più morte, bensì sonno, assopimento, e il cimitero non è il regno freddo e triste delle ombre, bensì il posto dove ritrovare colore che si sono addormentati nell’attesa del risveglio e della resurrezione.

E’ con questi occhi, rivolti alla dimensione spirituale, che possiamo affrontare con maggiore consapevolezza e serenità, accompagnati dall’obiettivo dei quattro fotografi, l’itinerario di scoperta dei cimiteri di valle Maira, che devono essere considerati, prendendo a prestito le parole di Ivana Mulatero, non solo come “luoghi in cui riflettere sull’eterno mistero della vita e della morte”, ma anche quale preziosa e insostituibile “testimonianza del passato”, un “patrimonio inestimabile da proteggere e valorizzare”.

La mostra fotografica è anche l’occasione per visitare il Museo Civico Luigi Mallé di Dronero, nato da una donazione di Luigi Mallé, che fu a lungo conservatore e poi direttore dei musei civici torinesi. Di proprietà del comune di Dronero, lo spazio museale, allestito nella casa appartenuta agli avi di Luigi Mallé, che nacque a Torino nel 1920, include collezioni di vario genere, rispondenti ai principali ambiti d’interesse storico e artistico del Mallé, dai dipinti fiamminghi ai maestri della pittura novecentesca, dai disegni a pastello del Settecento alle porcellane Meissen, i vetri Daum e Gallé, le stampe ottocentesche, il mobilio, le specchiere e gli orologi antichi, ma una sezione importante è dedicata proprio alla fotografia, nuovo mezzo espressivo di cui i Mallé, a cavallo tra Otto e Novecento, s’erano appassionati, chiamando professionisti da Saluzzo, Torino, Cuneo per immortalare i membri della famiglia e certificare così la raggiunta condizione sociale di preminenza nel contesto della borghesia locale. 

Paolo Barosso

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